Festival di Roma

Quando la malattia salva la vita, ‘Temps nouveaux’ e l’eredità del sacrificio operaio

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L’epopea del lavoro, della memoria e della migrazione irrompe sul grande schermo con Temps nouveaux’, la nuova, attesissima opera diretta da François Caillat. Il documentario, prodotto tra Francia e Lussemburgo, si rivela un affresco imponente sulle profonde mutazioni sociali e sul destino della classe operaia. L’appuntamento è alla Festa del Cinema di Roma 2025, dove il film è proiettato in Selezione Ufficiale, un sigillo di prestigio. L’opera promette una rara fusione di linguaggi, tessendo un racconto lirico e potente attraverso le voci dei minatori di Villerupt, al confine tra Lorena e Lussemburgo. La narrazione, impreziosita da un’inedita opéra contemporanea, offre una prospettiva affilata e commovente sulle sfide del nostro tempo.

Echi italiani nel buio della miniera

Il cuore pulsante del documentario vibra grazie al potentissimo legame con la tradizione migratoria italiana. Questo retaggio è manifesto, in primo luogo, nei cori in lingua italiana che, inaspettatamente, risuonavano e riecheggiavano nei cunicoli freddi delle miniere. Una sonorità viscerale che svela l’imponente presenza di discendenti giunti fin qui, specialmente dal Centro Italia, per colonizzare la regione della Lorena in cerca di una vita dignitosa e di lavoro, per quanto estenuante. Il film, tuttavia, supera il puro ricordo nostalgico, trasformando questa radice culturale in una chiave di lettura cruciale per decifrare il passato operaio. Le melodie, elevate a vero e proprio patrimonio storico, raccontano i sacrifici quotidiani di intere famiglie. Molti minatori, infatti, hanno contribuito a forgiare l’identità di questi luoghi, spesso muovendosi tra la Lorena e il vicino Lussemburgo in cerca di condizioni meno disperate.

Il muro di casa e il cunicolo oscuro

L’opera mette in risalto un netto contrasto di genere all’interno della famiglia operaia, svelando due mondi paralleli ma interdipendenti. Da un lato, c’è l’uomo, il minatore, che scende nelle viscere della terra per spaccarsi la schiena nella miniera, aspettando di essere ristorato dal lavoro della moglie. Dall’altro, c’è la donna, la cui lotta si svolge tra le mura domestiche, in una perenne preoccupazione, intenta a preparare il cibo e a vegliare, prima come figlia, poi come moglie e madre, sul minatore e sulla sua sicurezza. La sua opera, spesso invisibile, è descritta con una lucida consapevolezza:

“Lavorano per me (gli uomini), io lavoro per loro”

Questo afferma l’interdipendenza e la sua funzione di sostegno essenziale.

Scontro Epocale e Fragilità Digitale

Emerge prepotente il conflitto generazionale, che diventa un motore di cambiamento. Il padre, nonostante la malattia professionale, manifesta una profonda depressione poiché il suo desiderio era quello di morire “minatore”, un’identità indissolubile con il lavoro. Questo atteggiamento si scontra con l’insofferenza del figlio, che invece incarna la nuova generazione intenzionata a lottare per i propri diritti, scioperando contro il padrone. Il divario è palese anche nel modo di concepire la fatica: il padre ironizza sul figlio che lavora in ufficio, chiedendo se reggere la penna sia faticoso. Oggi, ironia della storia, perfino l’ufficio e il computer sono superati dall’avvento dell’Intelligenza Artificiale.

Sacrificio e amore negato

Gli scioperi non sono semplici rivendicazioni immediate; sono, piuttosto, un sacrificio calcolato per chi verrà dopo. La loro battaglia era aspra, diretta senza sconti contro il padrone. Questa figura di potere trova il suo simbolo nel dottor Gérard. I medici come lui non riconoscevano le vere malattie professionali dei minatori in accordo coi capi. Le morti venivano attribuite con cinismo a fumo e alcol, negando la realtà del lavoro. Il film qui genera un corto circuito emotivo e politico fortissimo. La figlia, infatti, ha aspirazioni diverse dal fratello che sciopera: lei ambisce solo a fare la madre di famiglia. Inoltre, è inspiegabilmente infatuata proprio del dottor Gérard. Il suo amore è un gesto estremo, forse inconsapevole, di sacrificio. Questa infatuazione rappresenta un tentativo disperato di proteggere il padre. È una strategia emotiva per garantirgli la sopravvivenza o, almeno, il riconoscimento.

Il nuovo fronte della patologia

Il documentario instaura uno stimolante confronto tra due epoche lavorative, riflettendo profondamente sulla natura della malattia. In passato, le patologie erano essenzialmente fisiche. Erano ferite dirette, legate all’ambiente estremo della miniera, facilmente riconoscibili. Per chi viveva nella miniera, però, l’idea di un malessere dell’anima risulta incomprensibile. Oggi, infatti, la sofferenza si è spostata su un piano totalmente psicologico. Essa si concretizza drammaticamente nel dilagante fenomeno del burnout. Questa transizione riflette un mutamento radicale e ineludibile della società intera. Mutano l’organizzazione del lavoro e le sue forme. Il futuro si presenta incerto, pieno di sfide ignote. Le domande si moltiplicano: nessuno sa con certezza quali professioni saranno rilevanti o quali, al contrario, verranno spazzate via. L’Intelligenza Artificiale ridisegna il mercato, rendendo obsolete intere categorie professionali.

La condanna della salvezza e la dignità infranta

“La malattia gli ha salvato la vita”

“La vera morte è questa, lontano dai compagni fuori dalla miniera”

Queste citazioni, potenti e malinconiche, riassumono il paradosso finale del documentario. La malattia, pur distruttiva, ha estirpato il minatore dal lavoro che lo stava uccidendo. Ma allontanarlo dai compagni, dal fumo, dalla fatica, significa togliere l’unica identità che possedeva. L’opera di Caillat non è solo un omaggio al passato, ma un monito sul presente e sul futuro del lavoro, della famiglia e della dignità dell’uomo.

 

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