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‘C’è un posto nel mondo’ intervista con il regista Francesco Falaschi

In concorso a ValdarnoCinema Film Festival

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In concorso alla 43esima edizione di ValdarnoCinema Film Festival anche C’è un posto nel mondo di Francesco Falaschi. Il film, dopo l’anteprima al Lucca Film Festival sarà proiettato al festival toscano in attesa dell’uscita nelle sale a novembre.

Il film, ambientato in piccoli paesi toscani, si snoda intorno alle storie tre personaggi e alla tensione tra la vita in un piccolo paese e l’ambizione o la tentazione di lasciarlo.

Nell’ambito del ValdarnoCinema Film Festival abbiamo fatto alcune domande a Francesco Falaschi.

Francesco Falaschi e il suo rapporto con ValdarnoCinema Film Festival

Vorrei cominciare con il chiederti qualcosa sul ValdarnoCinema Film Festival. Il tuo C’è un posto nel mondo sarà proiettato anche qui, prima di arrivare in sala. E qui tu sei un veterano. Qual è il tuo rapporto col festival? Che ricordi hai?

Ci pensavo in questi giorni e facendo mente locale mi sono reso conto che io e questo festival abbiamo una lunga storia che è cominciata quando io ho presentato i miei corti. Poi sono anche stato in giuria nel 2011 e nel 2019 ho portato un altro cortometraggio sul femminicidio, Non lo farò più, fino al 2021 quando ho, invece, proposto Ho tutto il tempo che vuoi, un film di 26 minuti sugli hikikomori, i reclusi digitali, e sono stato premiato.

Insomma è un festival che indubbiamente mi piace per come è strutturato e per quello che propone. Non a caso è giunto alla sua 43esima edizione, quindi ha una lunga storia alle spalle e una continuità. Bisogna ricordare, infatti, che purtroppo ci sono tante iniziative culturali e anche strettamente cinematografiche che non sono supportate da grandi finanziamenti o grossa visibilità. ValdarnoCinema Film Festival, invece, ha una sua visibilità, ma è anche un festival di prossimità dove accorrono tante persone, tra curiosi e interessati.

Il film

E, in qualche modo, anche la prossimità è presente in C’è un posto nel mondo.

Tutto è nato da dei documentari che facevamo nel periodo della pandemia con le scuole e i ragazzi sul Monte Amiata. Era un periodo molto particolare in cui si vedeva ancora meno il futuro e le tematiche che venivano fuori erano più forti: c’era chi voleva restare per costruire qualcosa e c’era chi, invece, pensava di partire. Con la pandemia, però, anche il girare era limitato ed era rimasto questo desiderio di scrivere qualcosa inerente a questi discorsi. Ed ecco che io e Alessio Brizzi, scrivendo, siamo ispirati in maniera piuttosto importante proprio a delle storie e a dei sentimenti che si erano sentiti. Da questo sono nate le storie che racconto in C’è un posto nel mondo dove mostro non solo dei paesi piccoli e spettacolari, ma mostro anche altro. Ho cercato di raccontare che sono luoghi dove gli altri “ti vedono”. Questa nello specifico è una frase che aveva detto una signora arrivata in provincia dall’estero: qui le persone mi vedono, mi considerano, faccio parte di una comunità più che in una grande città dove magari ho tutto ma ho anche una sensazione di distanza. Tutte queste suggestioni ci hanno aiutato a realizzare il film che di per sé era molto complesso e, per questo, ho scelto tre punti di vista che a loro volta sono stratificati.

C’è un posto nel mondo è una produzione fatta con persone che si occupano di cinema in quei territori o in alcuni circostanti e questo diventa una grande ricchezza perché non arriva l’astronave del cinema che affascina ma poi è slegata. Lì c’è stata una bella interazione con le persone e tutto questo penso che si percepisca, grazie anche a degli attori straordinari.

Cosa mi puoi dire degli interpreti?

Solo per restare ai protagonisti, c’è Luigi Fedele che con me ha collaborato per il film Quanto basta, poi Daniele Parisi, e Cristiana Dell’Anna che è un’attrice tra le più performanti, anche perché non ha solo tecnica, ma anche grande intelligenza e cuore. Insomma è stata un po’ una festa avere queste persone: parlo anche di Cecilia Dazzi, Alessia Barela, Jacopo Olmo Antinori, Paolo Sassanelli, Fabrizia Sacchi, Massimo Salvianti, Alessandra Arcangeli, Valentina Martone, Angela Pepi.

Francesco Falaschi in giro per la Toscana

Il film sta girando la Toscana perché è stato a Lucca e adesso a Valdarno. Cosa pensi di questo viaggio che, in parte, va di pari passo con il film e con la tematica stessa? È come se viaggiasse anche lui per la Toscana.

Sì, alla fine come dicevo è un film di prossimità, anche se spero che faccia qualche chilometro in più… Anche il fatto di andare a pescare sale, magari piccole, o d’essai, è all’interno di questo ragionamento di non abbandonare certi luoghi, di trovare luoghi dell’anima che spesso sono i paesi più che i borghi. Paesi e piccoli centri dove a dispetto dello spopolamento c’è vita.

Anche se devo dire che da sempre ho cercato l’incontro, l’evento, il parlare con il pubblico che dà le massime soddisfazioni e secondo me aiuta a capire cosa hai fatto, e anche quali sono i limiti…

Quindi è un po’ come se questi festival e questi luoghi dove c’è vita fossero, per riprendere il titolo del film, il tuo posto nel mondo?

Sì, esatto. Questo tipo di festival, di rassegne, di cinema che hanno resistito. E la cosa che mi impressiona in questi contesti è che quando sono andato negli Stati Uniti, per esempio, ho ritrovato un pubblico che sembrava quello di Grosseto, di Firenze, di Poggibonsi, di Prato, nel senso che c’è una specie di comunità internazionale di cinefili che va a vedere film perché ci sono la curiosità e l’apertura mentale alla base.

Insomma sono dei presidi di cultura e questi sono alcuni dei miei posti del mondo, i cinema che fanno una programmazione ben precisa.

C’è un posto nel mondo è come se fosse un insieme di più film con la stessa tematica.

Le tre parti di questo film non sono solo la tematica dei borghi, dell’Italia interna, ma le relazioni che ci sono e che si vedono ancora di più in quei contesti, e attraverso queste relazioni si va a rispondere a delle domande.

Un film o tre cortometraggi?

Secondo te è corretto dire che il film si può definire un insieme di tre cortometraggi più approfonditi?

Sì, però diciamo che la differenza è prima di tutto che sono mediometraggi se vogliamo essere precisi, e poi con questa modalità c’è il tempo per raccontare di più, non sei costretto al meccanismo del cortometraggio. È un film in tre parti, che racconta con una certa sintesi, che non vuol dire che non si fermi su certi dialoghi e certi aspetti. Io ho sempre amato i cortometraggi con grande passione, anche perché è il regno della libertà. In questo caso sono tre storie, legate dalla tematica, ma non si è voluto legarli o intrecciarli in montaggio. È come se fosse una piccola trilogia di film brevi dove i centri sono le relazioni umane, nei piccoli centri, dove le dinamiche sono più evidenti. In questo mi ha aiutato molto Alessio Brizzi, sceneggiatore insieme a me.

Quello che dici si percepisce dal film anche perché le storie sono staccate, ma comunque in qualche modo si intrecciano indirettamente. Forse la terza in qualche modo può essere considerata il riassunto delle altre due, per certe cose, come una sorta di chiusura del cerchio.

Sono d’accordo. E pensa che non doveva essere quello il terzo nell’ordine originario.

Secondo me è un film che va visto un po’ come se fossero tre racconti, perché a me questa tipologia di narrazione piace molto e la trovo molto interessante. Poi ci sono pro e contro e, talvolta, puoi pagarne le conseguenze ma è una cosa che mi affascina.

Forse c’è da considerare il fatto che il pubblico, con la struttura di questo film, non si può affezionare troppo ai personaggi perché dopo poco vengono sostituiti da altri con altri racconti.

Esatto, c’è questo rischio. Anche se questi sono legati, secondo me non solo dai temi, ma dai luoghi e anche un po’ dal sentimento, dalla temperatura emotiva. Per come si susseguono alla fine penso che siano in crescendo.

Il viaggio di C’è un posto nel mondo

Adesso C’è un posto nel mondo sarà al ValdarnoCinema Film Fest, ma nel frattempo hai già altri progetti in ponte? O ti stai dedicando alla promozione di questo film in vista dell’uscita nelle sale a novembre?

Mi sto ovviamente dedicando a questo, ma ho anche un progetto di documentario su un argomento che quasi nessuno conosce, quello delle human libraries, incontri con le persone che sono oggetti di stigma sociale e si raccontano. Sono praticamente la rappresentazione del non dover giudicare un libro dalla copertina. Quindi al momento sto seguendo delle persone in questa direzione. Poi ho un film al momento in pausa e un progetto di cui ancora non posso parlare.

Poi sei anche impegnato nel formare i più giovani che magari vogliono dedicarsi a questo mestiere.

Adesso iniziano delle lezioni che facciamo a Grosseto, dove abbiamo una scuola di cinema e da quella come insegnante impari tanto. Spero sia così anche per gli allievi! Con i ragazzi ti chiedi quali sono le reali motivazioni e con loro si parla anche di qual è l’ultimo film visto, ma anche l’ultimo libro letto. E questo aiuta perché alla fine la regia è pensare e poi adesso è un mondo sempre più accessibile, sempre più divertente.

Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli

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