Valdarno film festival

‘River Returns’: il richiamo silenzioso del mito

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Nel cinema contemporaneo giapponese, esiste una linea narrativa che predilige il silenzio alla parola, la contemplazione all’azione, il simbolo al realismo crudo. La lentezza narrativa piuttosto che alla velocità narrativa di oggi.  River Returns, film diretto da Masakazu Kaneko nel 2024, si inserisce pienamente in questa tradizione, offrendo un’esperienza cinematografica che è più vicina a un rito di passaggio che a una semplice visione. Il film è stato proiettato al Valdarno Film Festival al Teatro Masaccio.

Ambientato nel Giappone rurale del 1958, il film racconta la storia di Yucha, un ragazzo che vive in un villaggio fluviale minacciato da frequenti tifoni. La leggenda di Oyo, una giovane annegata in una piscina montana e ritenuta responsabile di queste catastrofi naturali, si fa sempre più presente. Con un’enorme tempesta in arrivo, Yucha intraprende un viaggio solitario verso quel luogo sacro, sperando di placare lo spirito della ragazza e, forse, guarire anche le ferite del proprio passato. Un vero e proprio viaggio tra paesaggi e sentimenti.

Un film che ascolta la natura

River Returns non è un film che parla della natura: è un film che ascolta la natura. L’acqua non è un elemento scenico ma una presenza viva, mutevole, a tratti materna, a tratti vendicativa. La regia di Kaneko è attenta a ogni dettaglio sonoro e visivo: il rumore del vento tra le fronde, la luce che filtra tra gli alberi, il rumore sordo della pioggia sulla terra bagnata. È un cinema che avanza con il passo della natura, e non con quello delle esigenze narrative.

In questo senso, il film dialoga idealmente con opere come Il male non esiste (Evil Does Not Exist) di Ryūsuke Hamaguchi, dove l’ambiente è al centro della riflessione umana, e con il cinema poetico di Naomi Kawase (Still the Water, Mogari no Mori), ma anche con l’animazione mitico-ecologista di Hayao Miyazaki, in particolare Princess Mononoke. Tuttavia, River Returns si distingue per una scelta stilistica radicale: il mito non è allegoria, ma azione viva che si intreccia alla realtà quotidiana con la forza di una presenza sacra.

Il film utilizza la figura mitica di Oyo non solo come motore della trama, ma come metafora del rimosso collettivo: un trauma che non è stato elaborato e che si ripresenta sotto forma di disastro naturale. Il viaggio di Yucha non è solo fisico, ma anche simbolico, un’odissea interiore che interroga la memoria, la colpa, la possibilità del perdono.

Il ritmo narrativo riflette questa struttura simbolica: lento, misurato, a tratti ipnotico. È un cinema che chiede attenzione, disponibilità, pazienza. Ma per chi si lascia trasportare, l’esperienza è intensa, immersiva, quasi spirituale.

Punti di forza e fragilità

Tra i pregi maggiori del film, va sicuramente segnalata la coerenza estetica. La fotografia è curata, essenziale, spesso quasi pittorica. L’uso del suono ambientale, al posto della colonna sonora tradizionale, amplifica la tensione emotiva e favorisce la connessione con il paesaggio. La sceneggiatura è parca ma densa di significato, lasciando allo spettatore il compito di colmare i silenzi con la propria sensibilità.

Tuttavia, questa stessa intensità può trasformarsi in limite. La lentezza, per alcuni, può diventare stasi; l’uso simbolico del mito può sembrare eccessivamente ermetico. Chi si aspetta un dramma convenzionale, o una struttura narrativa chiara con conflitti espliciti e risoluzioni nette, potrebbe sentirsi disorientato. River Returns non cerca di accontentare: propone, suggerisce, evoca.

Un’opera da scoprire mano a mano

In definitiva, River Returns è un’opera che parla a chi è disposto ad ascoltare senza fretta, a chi cerca nel cinema un luogo di riflessione più che di evasione. È un film che lavora per sottrazione, e che proprio nel suo silenzio riesce a dire molto.

Per lo spettatore curioso, aperto all’incontro con il cinema contemplativo giapponese, rappresenta una gemma discreta ma luminosa. Per chi invece ama il ritmo, l’azione, o il realismo diretto, sarà forse un’esperienza distante. Ma anche in questo, River Returns rimane fedele a sé stesso: come un fiume antico, segue il suo corso, senza preoccuparsi di dove vogliamo che arrivi.

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