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Claudio Caligari, il cinema come atto morale
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2 giorni agoon
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Elisa MulaPeClaudio Caligari (1948–2015) è stato un regista e sceneggiatore italiano noto per il suo stile crudo e realistico. Esordì con il documentario Perché droga (1975), ma ottenne notorietà con Amore tossico (1983), ritratto spietato della tossicodipendenza nella periferia romana. Dopo anni di silenzio, tornò con L’odore della notte (1998), noir urbano ambientato negli anni ’70. Il suo ultimo film, Non essere cattivo (2015), fu completato poco prima della sua morte e scelto come candidato italiano agli Oscar.
Caligari è ricordato per la sua coerenza artistica e l’impegno nel raccontare il degrado e l’umanità delle periferie italiane.
Nel cinema di Claudio Caligari si annida una verità rara, sempre più difficile da trovare nei territori della produzione cinematografica italiana contemporanea: l’urgenza morale del racconto. I suoi film non sono il frutto di una volontà estetica o promozionale, ma di una necessità profonda di rappresentazione, dove il cinema diventa strumento di denuncia, ma anche di testimonianza umana. Una voce dalla strada e non sulla strada.
Come ha scritto Paolo Mereghetti in occasione della morte del regista:
“Caligari ha fatto pochi film, ma ognuno di loro è un pugno nello stomaco, un atto politico e poetico che rimette al centro gli sconfitti della storia.” (Corriere della Sera, 27 maggio 2015).
E in effetti, lo sguardo di Caligari non è mai pietista, mai indulgente, ma radicalmente vicino ai suoi personaggi. Non li giudica, li ascolta.
In un’epoca in cui il cinema italiano si è spesso rifugiato nella commedia, nella leggerezza, nei meccanismi televisivi e di mercato, Caligari ha resistito. Ha pagato questa coerenza con una produzione frammentata, rarefatta, continuamente ostacolata da problemi di finanziamento. Lo stesso Non essere cattivo, come ha raccontato Valerio Mastandrea, è stato un progetto portato avanti “contro ogni evidenza”, girato mentre Caligari era malato terminale, finito con enorme fatica, eppure con una dedizione totale (fonte: La Repubblica, 8 settembre 2015).
Quella di Caligari è dunque una resistenza autoriale, ma anche esistenziale: un regista che ha scelto di non fare compromessi, di restare legato al reale e ai suoi abitanti invisibili. Un cinema che mette in scena la responsabilità dell’essere umano davanti alla propria condizione.
Il rapporto con Pasolini e l’eredità tradita
Spesso associato a Pier Paolo Pasolini, Caligari condivide con lui non solo l’attenzione per la marginalità e la lingua popolare, ma anche un senso profondo di disillusione nei confronti del progresso. In Non essere cattivo, lo stesso Caligari parla della fine del “mondo pasoliniano”, quel mondo, che pur degradato, conservava ancora residui di purezza, di innocenza, di comunità. Non resta che una periferia trasformata: non più luogo di povertà ma di consumo, non più borgata “proletaria” ma deserto urbano, teatro di una post-modernità senza centro e senza identità. In questo senso, Non essere cattivo non è solo un film sulla droga e l’amicizia, ma una meditazione sull’Italia e sul cinema che non sa più vedere la sua parte oscura.
Come ha scritto Emiliano Morreale,
“Caligari riesce a fare qualcosa che oggi pochissimi fanno: un cinema popolare e al tempo stesso radicale, pieno di compassione ma mai ricattatorio, dove la forma nasce dalla sostanza.” (Il Sole 24 Ore, 13 settembre 2015).
Caligari oggi: una voce da non dimenticare
Dieci anni dopo la sua morte, la lezione di Caligari è ancora viva, ma rischia di essere trascurata. In un panorama sempre più globalizzato, dove il linguaggio visivo tende a conformarsi a modelli seriali o festivalieri, il suo cinema rimane scomodo, ruvido, insostituibile. È un cinema che non consola né intrattiene, ma interroga.
Eppure, sempre più registi ne rivendicano l’influenza. Lo hanno fatto, in modi diversi, Claudio Giovannesi, Alessandro Borghi, Valerio Mastandrea come produttore e attore, Francesco Munzi (con Anime Nere) e altri autori che lavorano tra fiction e realismo. Ma il modello Caligari non è un’estetica: è una posizione morale. E questo lo rende tanto più difficile da emulare.
Oggi, parlare di Caligari significa parlare di un cinema necessario, che si assume la responsabilità del reale, che non cede alla tentazione della spettacolarizzazione del dolore, ma che tenta di capire il perché del male, senza mitizzarlo.
In Amore tossico, la droga non è mito ribelle, ma trappola quotidiana. L’odore della notte, mostra il crimine con miseria più che fascinazione. In Non essere cattivo, la redenzione è desiderata, ma ostacolata dalla struttura sociale. Questo cinema ci dice che le scelte individuali non nascono nel vuoto, e che nessuno può davvero “salvarsi da solo”.
Perché è ancora importante
Nel 2015, poco dopo la morte di Caligari, Martin Scorsese ha voluto vedere Non essere cattivo, colpito dalla potenza visiva e narrativa del film. Scorsese, regista da sempre vicino ai mondi marginali e ai dilemmi morali, ha riconosciuto in Caligari una voce affine. Ma in Italia, quella voce è stata ascoltata troppo tardi.
In un mondo che cambia continuamente forma, dove le periferie diventano centri commerciali o zone di guerra sociale, i suoi film restano cronache poetiche di chi resta fuori, senza però cedere alla disperazione. Come i suoi personaggi, anche Caligari ha lottato per esistere nel sistema. E ha lasciato tre film che non si possono ignorare, se si vuole capire qualcosa dell’Italia (e del cinema) degli ultimi quarant’anni.
“Io faccio cinema perché ho qualcosa da dire, non per mestiere. Se non posso dirlo come voglio, allora non lo faccio”.
(Fonte: L’Espresso, maggio 2015).
Ecco, questa frase è il miglior epitaffio possibile. Un regista che ha scelto il silenzio al compromesso, che quando ha parlato ci ha lasciato parole e immagini che ancora ci inquietano, ci commuovono, e soprattutto ci obbligano a guardare dove non vorremmo.
Ed è proprio per questo che Claudio Caligari è, e resterà, un regista necessario.