Lucca Film Festival

‘Under the Burning Sun’: post apocalittico femminile

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È arrivato in anteprima nazionale alla 21ª edizione del Lucca Film Festival, Under the Burning Sun di Yun Xie, lungometraggio che si era già aggiudicato il Premio del pubblico allo Slamdance Film Festival. Un dolente, cupo e riarso road movie femminile che è un vero pugno nello stomaco.

Una visione filmica certamente non facile, però è un debutto registico audace, con attori impeccabili, una fotografia travolgente e momenti di rara e struggente bellezza che lo rendono incredibilmente avvincente.

Under the Burning Sun

In una terra arida e desolata dove l’aborto è illegale, Mowanza (Stephanie Pardi)  lotta con la sua gravidanza indesiderata. Quando viene a conoscenza di una terra lontana dove l’aborto è permesso, Mowanza, munita solo di una bottiglia d’acqua mezza vuota e di un auto ammaccata, intraprende un viaggio attraverso il deserto, in direzione della rigogliosa terra di Iropus.

Dolente ricognizione di un futuro molto prossimo

Under the Burning Sun inizia con Mowanza nel bagno di una stazione di servizio, furiosa per il risultato del test di gravidanza appena fatto. L’acqua annerita nel water, lo sporco sui muri e i vestiti rattoppati di lei trasmettono subito che non ci troviamo in un ambiente ospitale.

È da subito evidente che la realtà di domani non è altro che il frutto dell’oggi: il sostentamento medico-sociale-economico di qualsiasi tipo è raro. È la cruda visione di un mondo che sta per diventare un luogo desolato tipo quello visto in Mad Max: Fury Road, dove l’acqua è un bene prezioso. In questo disperato futuro/presente, la richiesta di Mowanza di poter abortire è impraticabile. Per le sue reazioni rabbiose, nell’avanzare un suo diritto, viene sbattuta fuori dalla clinica. E da qui comincia il suo viaggio-fuga verso Iropus, mitico luogo dove è possibile abortire.

Un road movie in cui, attraverso la protagonista, ci immergiamo sempre più nella desolazione ambientale e nella disperazione degli altri personaggi femminili. Under the Burning Sun quindi si fa storia corale, narrando di Mowanza e delle donne che lei incontra durante il suo itinerario.

Umanità e trauma

Le scene sfruttano la qualità slavata e sabbiosa di molti film ambientati nel deserto, ma qui l’oppressione distopica riesce anche ad attenuarsi. In pochi istanti, il film sembra più vicino a qualcosa di simile a Nomadland di Choé Zhao. In particolare nelle sequenze in cui Mowanza si relaziona, seppur brevemente, con Mavis (Stevie Kincheloe) e la sua bambina.

Questi momenti ci offrono anche l’opportunità di apprezzare la gamma recitativa di Stephanie Pardi. È un’interpretazione potente dall’inizio alla fine. Il suo volto è corrugato e la mascella serrata per la determinazione e la rabbia, ma nei pochi momenti in cui è colta di sorpresa, o addirittura sorride, il pubblico vede la persona che potrebbe essere al di fuori di queste tragiche circostanze.

Come apprendiamo da un flashback, il feto di cui Mowanza vuole liberarsi è il frutto di un’aggressione. Questo dettaglio ci viene mostrato attraverso la scena di un violento accesso di frustrazione dopo il fallimento delle pillole abortive. La regia di Xie conferisce alla scena un impatto maggiore e comunica che Mowanza porta con sé l’esperienza dell’aggressione, sia psicologicamente che fisicamente attraverso il feto.

All’alba, al tramonto

Yun Xie, il direttore della fotografia Tianyi Wang e i montatori Christopher Ma e Bowei Yue non solo sfoggiano il loro talento tecnico nell’oscurare gli uomini o nel rendere l’orrore in maniera immediata, ma lo usano anche per evidenziare i momenti di bellezza e speranza che persistono in questo mondo post apocalittico. Molte delle scene chiave di Under the Burning Sun si svolgono all’alba e al tramonto, consentendo a Wang di catturare immagini mozzafiato del sole che sorge e tramonta.

A volte la superba bellezza del film è tanto maestosa quanto intimidatoria, come nelle numerose ed estese panoramiche del deserto e delle sue montagne che sovrastano i personaggi. Eppure, è proprio la visione continua di un mondo indifferente, e spesso ostile, a rendere sorprendentemente efficace uno zoom lento e poco appariscente, quando la mdp scivola su Mowanza mentre è seduta con un bambino a cui ha comprato del ghiaccio. Sì, tutta la brutalità degli uomini esiste, e no, sebbene il mondo naturale sia ormai impoverito di risorse, non si può fare a meno di questi momenti di gentilezza e tenerezza umana.

L’unica pecca è che questo straordinario road movie inciampi alla fine. La narrazione si blocca goffamente e sorge la sensazione di un: “Ok, concludiamo qui.”, rendendo Under the Burning Sun un classico caso di “ciò che conta è il viaggio, non la destinazione”.  Va bene anche così, quando il viaggio è così ben realizzato.

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