Sante, il cortometraggio di Valeria Gaudieri, in concorso alla Settimana Internazionale della Critica a Venezia 82, è la storia di Bianca e Ginevra, due giovani donne alla scoperta della loro libertà.
Hai usato l’archetipo della santità femminile per raccontare la storia di Bianca e Ginevra, due giovani donne sulla soglia dell’età adulta che con il loro legame sovvertono il pensiero dominante, facendo del tuo film un piccolo manifesto di emancipazione femminile. Come hai sviluppato questi temi ?
L’ispirazione per il film è stata un sentimento. Sante è il mio corto di diploma del centro sperimentale di cinematografia, al terzo anno di studi viene data la possibilità di lavorare liberamente su un progetto personale. A quel punto mi sono chiesta cosa fosse importante per me. Mi sono presa il tempo di capire cosa mi interessava di più, cosa per me fosse più urgente raccontare. Un sentimento che mi ossessionava era il senso di colpa provato dalle donne che mi circondavano e da me in quanto regista, studentessa, amica. Tutte noi abbiamo sempre sentito un senso di colpa latente, sotterraneo, viscerale che finiva per trasformarsi in altre cose. Ho iniziato a domandarmi da dove arrivasse.
Da bambina mi divertivo a indossare i vestiti delle donne adulte della mia numerosa famiglia. A tutti faceva tenerezza inizialmente vedere una bambina che si vestiva da grande ma mi sono resa conto che a un certo punto, lo sguardo degli altri su di me cambiava, è iniziato a diventare uno sguardo di giudizio, pieno di pudore. È stato questo sguardo a far nascere in me il sentimento di senso di colpa. Con la scrittura siamo partiti proprio dall’idea di voler raccontare quel passaggio dalla pre-adolescenza all’adolescenza.
Al centro del film c’è un evento, la festa del volo dell’angelo, un rituale folkloristico in cui ogni anno una ragazza viene fatta volare con una corda sulla folla vestita da angelo, Bianca è la prescelta.
Stavo tornando nella mia città d’origine mentre scrivevo il film, e c’erano i preparativi per la Festa. Nella bambina sulla soglia della finestra che prende il volo ho trovato l’immagine che stavo cercando, una bambina costretta dagli adulti a essere sospesa per aria, gesto di cui lei non è pienamente consapevole.
È una donna, in Sante, a scegliere Bianca, a costringerla a indossare l’armatura protettiva dell’Angelo, una sorta di intimazione al pentimento per un peccato da espiare.
È stata una scelta di sceneggiatura perché volevamo, in qualche modo, avere un elemento che ci facesse riflettere sul fatto che molti traumi si trasmettono da donne a donne, spesso la prima persona che giudica una donna è un’altra donna. Penso che le generazioni di donne precedenti alle nostre non abbiano sempre avuto i giusti strumenti per decostruirsi. Mi interessava dare un punto di vista più trasversale. È un paradosso che in un ambiente totalmente femminile, come quello presente nel film, due ragazze si sentano comunque giudicate per i loro desideri.
L’idea dell’angelo sospeso in aria, ricorda la scena del presepe vivente nel film Le pupille di Alice Rohrwacher, dove le bambine del convento assumono pose plastiche cristologiche. Anche il suo film è un piccolo manifesto.
Le pupille è di una bellezza sconfinata, Alice Rohrwacher è una regista che amo molto. Quando ho visto il suo ultimo film La Chimera, in sala, ho pensato di vivere la stessa sensazione provata dai primi spettatori della Dolce Vita di Fellini. Un film che tra cinquant’anni avrà la stessa potenza di oggi. Pensandoci, il cinema italiano degli ultimi dieci anni è per me un importante punto riferimento. Un altro regista che stimo molto è Pietro Marcello.
L’incipit e la conclusione del tuo cortometraggio hanno una forte connotazione simbolica, soprattutto le prime sequenze con le bacche rosse che macchiano il vestito candido di Bianca, mi hanno ricordato il simbolismo del Gelsomino notturno di Pascoli.
Mi piace molto lavorare con l’astrazione e con il simbolo. Avevamo l’urgenza di fare una sintesi, abbiamo inserito pochissime parole nel film, volevo assolutamente evitare una rappresentazione folkloristica della festa. Dal momento che a me interessava lavorare sulla metafora della scoglia, il simbolismo permea il film dal primo momento all’ultimo. La macchia, la bacca rossa, sono simboli molto efficaci visivamente e si legano all’immaginario cristiano-cattolico. C’è il senso di colpa della donna che nasce quando si macchia del peccato originale. L’idea dell’incipit, dunque, è stata proprio ricreare quel momento.
Anche il finale gioca sull’astrazione, il volo di Bianca avviene su uno sfondo nero che annulla lo sguardo della folla.
Il finale ha un’accezione positiva. È anche sospeso perché da quel momento in poi Bianca è da sola e dovrà scoprire che tutto quello che le è stato raccontato è una bugia. Per questo motivo la folla scompare: è il suo momento di assoluta libertà.