Nata tra i Colli Euganei, in un territorio privo di sale cinematografiche, la manifestazione Euganea Film festival si distingue per la capacità di portare il cinema d’autore in luoghi di grande valore paesaggistico e culturale, coniugando tradizione e innovazione. Abbiamo incontrato il direttore artistico Giovanni Benini, che da due anni guida il festival, per approfondire la visione che anima questa edizione, il rapporto con il territorio e le sfide di un contesto culturale e geopolitico in continua trasformazione.
Intervista a Giovanni Benini, direttore artistico della 24ª edizione di Euganea Film Festival
Qual è la visione che ha guidato questa 24ª edizione del festival? C’è stato un punto di partenza o un tema che ha dato forma al programma?
L’Euganea Film Festival, ormai da alcuni anni, affronta temi legati all’ambiente e al territorio, con un’attenzione particolare alle culture periferiche del mondo e a quello che era – o che è ancora – il mondo contadino. Sono traiettorie che manteniamo da tempo nella costruzione del programma. Quest’anno, in un contesto geopolitico così turbolento, ci siamo concentrati sui diritti: non solo quelli dei popoli, ma anche quelli delle piante e degli animali. Questi sono stati i nostri punti di riferimento, le nostre stelle polari, nella definizione della programmazione.
Il festival è sempre stato legato al territorio. Quanto ha contato negli ultimi anni questo rapporto con i Colli Euganei?
Io sono al mio secondo anno come direttore artistico. Il mio predecessore aveva già introdotto temi legati all’ambiente, mentre in passato il festival si concentrava soprattutto sul cinema del reale e sull’animazione. Con la mia direzione si è accentuata questa virata verso le questioni ambientali. Portare il cinema nei luoghi suggestivi dei Colli Euganei per me è fondamentale: è un territorio privo di sale cinematografiche, quindi l’idea di affiancare cinema d’autore e di qualità a spazi culturali e naturalistici di pregio è un tratto distintivo. È un modo per democratizzare e rendere orizzontale l’offerta culturale.
In tempi segnati da crisi geopolitiche e fragilità sociali, che significato ha continuare a organizzare un festival come questo?
È un gesto culturale di resistenza. Festival come il nostro, con 24 anni di storia, hanno la responsabilità di offrire complessità, di non abbassare lo sguardo. Non si tratta di proporre leggerezza a tutti i costi, ma di insistere sull’importanza di guardare la realtà, di ragionare insieme. Lavorando con il cinema del reale, ci confrontiamo con gli sguardi sul mondo, senza ridurci a un appiattimento culturale. È un atto di resistenza contro la semplificazione.
Molti laboratori creativi sono dedicati ai giovani. Quanto è importante educare le nuove generazioni all’immagine e alla sensibilità ambientale?
È importantissimo. Quello che proponiamo all’interno del festival è solo la punta di un iceberg: l’associazione Moviement lavora tutto l’anno sull’educazione cinematografica. Inoltre, il Ministero della Cultura e quello dell’Istruzione stanno investendo molto con il Piano nazionale cinema e immagini per la scuola, un programma bellissimo. Credo sia fondamentale, sin dalle prime fasce d’età, coltivare una sensibilità e uno sguardo critico attraverso il cinema.
Quest’anno dedicate un omaggio a Maura Delpero. Che cosa vi ha spinto a riservarle questo spazio e cosa rappresenta per voi nel panorama cinematografico?
Maura Delpero si colloca al centro del discorso cinematografico italiano e internazionale. Abbiamo deciso di dedicarle un focus speciale: sarà nostra ospite e presenteremo i suoi lungometraggi, alcuni dei quali erano già passati al festival. La seguiamo dai suoi esordi, e per noi è significativo mostrare come la nostra attività di ricerca serva a scoprire e sostenere giovani autori e autrici che, come Delpero, stanno costruendo percorsi straordinari.
Che emozione è stata seguirla dagli inizi e vederla crescere fino a raggiungere un pubblico sempre più ampio?
Un’enorme soddisfazione. È bello vedere che il suo cinema d’autore, così attento al reale, riesce ad arrivare a livelli istituzionali e a conquistare spazi importanti. Ci conferma che il nostro lavoro di ricerca e sostegno agli autori ha senso.
In questa edizione c’è anche un focus sulla bomba atomica, con titoli come Godzilla. Cosa sperate che il pubblico porti a casa da questa esperienza?
Non lo definiamo una retrospettiva, ma un focus. Oggi vediamo sgretolarsi molti degli organismi internazionali nati dopo la Seconda guerra mondiale. Per noi è importante riflettere sul concetto di distruzione, autodistruzione e sugli immaginari collettivi che saghe come Godzilla hanno generato. Inserire un momento di riflessione di questo tipo è fondamentale.
Ultima domanda: quale futuro ti aspetti per il festival e quale invece vorresti?
Il futuro è incerto: chiudere i budget è sempre più difficile, soprattutto in territori di provincia. Ma il mio augurio è che il festival venga riconosciuto e sostenuto non solo a parole, ma concretamente. Portare proposte culturali di qualità significa crescita, trasformazione e miglioramento dei territori. Vorrei che questo festival continuasse a essere un investimento di tendenza, un punto di riferimento culturale.
Ringraziamo il Giovanni Benini per la gentile collaborazione e disponibilità. Ormai il festival è alle porte e le sorprese sono tantissime, per non perdere nulla della programmazione ecco il link al sito del festival: