Sentiero Film Factory

‘Free the chickens’: il dilemma dell’etica

Published

on

Distribuito da Nutprodukcia nel 2024, arriva finalmente in Italia a settembre, grazie a “Sentiero Film Factory” (Firenze), il cortometraggio del regista ceco Matúš Vizár: Free the chickens.

Il corto, già candidato al Sun Awards 2025 (Slovacchia) e all’Anima Festival 2025 (Belgio), porta in essere un dilemma esistenziale che ruota attorno al tema della condizione degli animali all’interno degli allevamenti intensivi e al senso etico dell’essere umano che, credendo di fare qualcosa di buono, si rivela essere più ipocrita di quello che pensa.

La trama ruota attorno a un gruppo di animalisti che decidono di fare un colpo: andare di notte in un allevamento intensivo, “rapire” e liberare più galline possibili, per poi rilasciarle in un luogo sicuro nel mondo esterno.

Ciò che loro non capiscono, però, è che il mondo di fuori è ancora più duro di quello che pensano, e che gli allevamenti intensivi in realtà sono solo una piccola parte di un sistema ancora più grande e intricato che vede multinazionali, contadini e animalisti stessi in combutta tra di loro per ricavarne guadagni.

Galline in Fuga… al contrario!

Nel film del 2000, Galline in fuga, vediamo lo stesso tema proposto dal regista Matúš Vizár, ma al contrario: sono le galline stesse che decidono di unire le forze e scappare dalle condizioni estreme e crudeli dell’allevamento intensivo in cui si trovano.

È anche vero che nel film diretto da Peter Lord e Nick Park, in realtà, il tema dell’allevamento intensivo è, sì, usato per denunciare le condizioni degli animali, ma anche come metafora di prigionia, discriminazioni e crudeltà nei confronti di una popolazione che viene costretta a lavori forzati ed eliminata quando non serve più. Il tema principale, infatti, è un tema prettamente politico che denuncia la brutalità dell’essere umano.

Tuttavia, nonostante la metafora, Galline in fuga (2000) e Free the chickens (2024) hanno delle somiglianze, ma da punti di vista opposti.

Partendo dal tema della fuga verso la “libertà”, vediamo come nel film di Lord e Park, per esempio, sono le galline che la organizzano. Ogni istante per loro è importantissimo per architettare il tutto nel minimo dettaglio. La notte è dalla loro parte, si fanno forza le une con le altre e vogliono con tutto il cuore correre verso la libertà. Il mondo esterno per loro rappresenta la salvezza, perché lì pensano di non dover avere più paura e di poter in qualche modo “volare via”, anche senza ali.

Nel corto di Matúš Vizár, invece, gli animalisti non hanno un vero e proprio piano. Non sono organizzati come si deve, sono superficiali e ipocriti. Non credono davvero nella loro causa. O, almeno, non tutti.

Indossano una maglia con su scritto “Animal lives matter”, ma la prima cosa che fanno è usare gli animali per difendere loro stessi, non curandosi di far loro del male o ucciderli. L’animale è sacrificabile, l’uomo no.

La notte è contro di loro, non li aiuta, non li nasconde agli occhi degli altri. Anzi, ne evidenza gli atti brutali e ipocriti, porta alla luce i loro istinti più viscerali e cruenti, e suscita soprattutto in uno di loro un senso di confusione, trauma e contraddizione con cui non aveva mai dovuto fare i conti prima d’ora.

L’istinto ha tinte dark

Il regista del corto, Matúš Vizár è anche un esperto di colori e animazione. E, in quanto tale, sceglie di utilizzare, per Free the chickens, prevalentemente il nero e il rosso. Entrambi portano con sé due grandi simbologie: occulto e paura per il primo, passione e violenza per il secondo.

Li usa soprattutto nei primi sette minuti del cortometraggio, nella scena del rapimento delle galline e nella scena del bosco.

Il nero nasconde gli istinti dell’uomo. Il rosso, attraverso il sangue, li riporta alla luce e ne mostra la brutalità.

“Guarda! I suoi istinti si stanno svegliando”

Uno degli animalisti segue l’istinto per difendersi, si tocca il viso sconvolto con le mani insanguinate e non si capacita del gesto compiuto. Ha scelto di sopravvivere, ma a un caro prezzo: il sangue di un altro.

Ed è qui che entra in gioco il dilemma dell’etica e dell’ipocrisia umana che il regista vuole mostrarci.

In una situazione di sopravvivenza, quanto siamo disposti a portare avanti le nostre convinzioni? Quanto facilmente la morale può vacillare ed essere messa da parte? Si è davvero pronti a dare tutto per un’ideale di libertà che raramente, al giorno d’oggi, si può raggiungere?

L’ipocrisia alla luce del sole

Emblematiche sono altre due scelte registiche: la “masturbazione della vergogna” e “l’oasi delle galline felici” che evidenziano due possibili reazioni alla violenza e all’ipocrisia.

La prima è una conseguenza fortissima dei sensi di colpa scaturiti dal gesto brutale iniziale, dal rifiuto dell’aggressione e dell’istinto.

La seconda, invece è una vera e propria condanna al mondo odierno ed è l’apoteosi dell’ipocrisia umana. L’oasi è colorata, piena di luce, ricca di quegli elementi che potrebbero far pensare all’agognata libertà. In realtà, però, è una sorta di horror in pieno giorno, stile Midsommar-Il villaggio dei dannati (2019).

Matúš Vizár ci mostra che anche l’oasi, infatti, è corrotta. Ne condanna il sistema che continua a ingannare e a fare leva sui sentimenti delle persone che, sperando di fare la differenza, in realtà diventano vittime o parte integrante di scelte di marketing da cui difficilmente si può scappare.

Exit mobile version