SalinaDocFest
Oliver Stone, il cinema e l’America
Alla XIXa edizione del SalinaDocFest abbiamo incontrato il grande regista americano Oliver Stone
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2 mesi agoon
Oliver Stone è uno dei più originali e controversi registi americani, con film epocali come Platoon (1986), Wall Street (1987), Nato il quattro luglio (1989), The Doors (1991), JFK – Un caso ancora aperto (1991), Assassini nati – Natural Born Killers (1994), World Trade Center (2006), ma anche ritratti di personaggi di potere molto discussi come Nixon (1995), Comandante (2003) su Fidel Castro, W. (2008) su George W. Bush, Snowden (2016), The Putin Interviews (2017). In un incontro al SalinaDocFest, Oliver Stone ci ha raccontato la sua visione del cinema e della politica.
Al SalinaDocFest abbiamo rivisto uno dei suoi primi film, Salvador (1986), con protagonista un giornalista che cerca di raccontare verità scomode.
Cambiati gli ambiti geografici, Salvador è un film che potrebbe raccontare una storia di oggi, per quanto riguarda gli interventi americani. Allora erano le repressioni delle rivoluzioni popolari in centro America, con l’appoggio dell’esercito Usa ai militari nel sostenere governi e dittature fasciste, lo stesso oggi. Salvador è anche un film che racconta il fondamentale ruolo dei media nel portare a conoscenza cose che altrimenti non avremmo mai saputo. Tutte queste cose erano vere in Salvador e lo sono ancora oggi. Il Nicaragua, l’Honduras, il Guatemala erano nidi di corruzione. La situazione in Salvador è stata orribile dal 1979 al 1984. Molti leader sindacali e dell’opposizione, ma anche insegnanti e giornalisti, furono uccisi, spesso torturati. Le persone scomparivano nel nulla. Nessuno ne poteva parlare. La repressione nel Paese fu brutale. Nessuno sapeva cosa stesse succedendo. Se avessimo incoraggiato più riforme in Centro-America, invece di reprimerle, la situazione sarebbe stata diversa.
Quanto è complicato oggi negli Stati Uniti fare film che raccontano verità invise al potere?
Trovo che, in questo momento, negli Stati Uniti, ci sia un effetto, anche autoindotto, di censura. Registi e giornalisti non vogliono andare sui fronti di guerra. Non vogliono bruciarsi o rischiare la vita. Sono spaventati. Il caso della Palestina è emblematico. Ha fatto crescere un nuovo tipo di radicalismo nelle persone più giovani, ma non credo questo si sia tradotto in un’attenzione più generale da parte del pubblico. Tutto ciò che d’interessante dal mondo si vede in America viene da canali alternativi, da internet. I media generalisti in America sono disgustosi. Dalla mia prospettiva, negli Stati Uniti c’è una situazione raccapricciante: tanti registi hanno paura di fare certi film, di raccontare cose che poi non permettano loro di riuscire a fare altri film.
Salvador
Al SalinaDocFest presenti la tua autobiografia, dal titolo significativo Cercando la luce. Com’è nato il bisogno di scrivere la storia della tua vita?
Dato che qui siamo nel Mediterraneo, potremmo dire che io sono Ulisse e racconto la mia odissea. A quarant’anni avevo raggiunto un sogno con la creazione di Platoon, un film che è stato un grande successo, è andato in tutto il mondo e ha realizzato il mio desiderio di diventare un regista riconosciuto da tutti. Era come se avessi raggiunto il mio climax. Pensavo fosse già stata la parte migliore della mia vita, poi però ho diretto tante altre opere, anche molto controverse, come quella su John F. Kennedy o Natural Born Killers. Ora sto per compiere ottant’anni, un grosso giro di boa, sto cominciando l’ultima parte del mio viaggio. Non mi spavento, sento che ogni storia è importante e ho voluto raccontare, condividere, il lungo percorso della mia vita.
Per recuperare tutto questo tempo e gli avvenimenti del passato avevi dei diari?
Avevo conservato molti diari. Volevo diventare uno scrittore prima di fare il regista. All’età di diciannove anni ho scritto anche un libro, intitolato Child’s Night Dream. È stato pubblicato molto più tardi, dopo che ho avuto successo come regista. È una storia molto dolorosa. Era un periodo molto difficile per me. Tanto che sono finito in Vietnam perché volevo uccidermi, ma volevo farlo attraverso la guerra, non ce la facevo da solo. Child’s Night Dream è la storia di un padre un po’ incestuoso, una specie di tragedia greca. Trasmetteva quel senso di rabbia contro i propri genitori che emerge spesso nella letteratura come nell’animo umano.
The Putin Interviews
Tu hai incontrato diversi controversi leader politici e fatto film su vari presidenti americani. Cosa hai imparato sul potere e come vedi l’attuale situazione?
Ho fatto una lunga intervista a Vladimir Putin per una miniserie televisiva e, ovviamente, ascolto quello che dice il mio presidente Donald Trump. Quest’ultimo cambia idea così tante volte che non sai mai cosa pensi veramente. L’attuale situazione è disturbante. Non credo che il mondo abbia mai visto così tanto caos. Non sappiamo cosa succederà nel mio Paese, ma è più o meno la stessa cosa in Europa o in Russia. Già nell’antichità il caos era un dio, che libera un’energia che non sai dove porterà. Donald Trump è l’uomo più potente del mondo e alterna dichiarazioni sensate ad altre stupide, ma dobbiamo comunque ascoltarlo.
Com’è cambiata l’America da quando hai cominciato a raccontarla con i tuoi film?
Un notevole impatto di cambiamento lo ha dato l’immigrazione. Quando ho cominciato a fare cinema, era opinione abbastanza diffusa che fosse una buona cosa avere immigrazione nel nostro Paese. L’America è stato un Paese costruito dall’immigrazione. Chiaramente oggi le cose sono cambiate.
Nel 2003 hai girato Persona non grata sul conflitto arabo-israeliano in Palestina. Cosa racconteresti di quello che sta succedendo ora?
Parlavamo prima di media: della tragedia della Palestina credo non si parli abbastanza. Non capisco perché. Cioè capisco perché Donald Trump supporti Benjamin Netanyahu, ma non posso approvarlo. Credo abbia poco a che fare con l’uomo e molto con la politica, nonostante i suoi tanti guai giudiziari. Ricordiamoci che una gran quantità di denaro è arrivata a sostegno di Donald Trump da parte di gruppi ebraici. Penso che l’Aipac (American Israel Public Affairs Committee), lobby israeliana che influenza la politica statunitense, abbia un forte supporto nel mio Paese. Credo che nessuno nel Congresso abbia il coraggio di votare contro Israele, a meno di essere molto audaci. È un vero controllo tipo gangster. Una mafia, una mafia terribile. Quando ho fatto il documentario Persona non grata, dicendo alcune cose sulla Palestina che erano vere, mi sono suicidato artisticamente. Mezza Hollywood mi è venuta contro. Grazie a dio, qualcuno mi ha supportato e ho potuto continuare a fare cinema. Ma quando le persone parlano contro Israele entrano in una specie di lista nera. È molto evidente negli Stati Uniti, un po’ meno in Europa, Germania a parte. È una situazione tremenda. Sono veramente disgustato dall’atteggiamento delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e del mio Paese.
Tu hai fatto molto cinema d’inchiesta, di cui in Italia è stato maestro Francesco Rosi. Quanto lo conosci? Ti ha in qualche modo ispirato?
L’ho conosciuto prima che morisse. Mi ha chiesto di essere garante per uno dei suoi ultimi film, cosa che ho fatto molto volentieri. Lo ammiro molto come regista. Penso che abbia realizzato film davvero buoni, ma non posso dire di averli visti tutti. In generale, però, mi piace molto il cinema italiano. Ha avuto molto a che fare con la mia crescita. È stato importante. Nel tempo l’ho apprezzato sempre di più. I film italiani, senza di loro, dove saremmo? Sono una parte del mondo, della sua cultura.
Quali sono i registi italiani che ami maggiormente?
Amo il lavoro di Paolo Sorrentino. Guardo i suoi film anche tre o quattro volte. Penso che sia fantastico. Vittorio De Sica, poi, è uno dei miei registi preferiti di tutti i tempi. Adoro la sua fase neorealistica e anche quella successiva della commedia. Penso sia stato eccellente in entrambe. Era pure un ottimo attore. Era speciale.
C’è un nuovo progetto di film in cantiere, magari partendo da qualcuna delle storie personali che hai raccontato nella tua autografia?
Sono vecchio. Realizzare un film prende molta energia. Ed è difficile nel cinema americano fare film personali. Alcuni registi ci riescono, ma è dannatamente complicato. Vorrei riuscire a fare come Steven Spielberg e il suo The Fabelmans. Mi piacerebbe tanto girare un film così. Sto lavorando a una cosa del genere, ma, se riuscirò, resta da vedere.
Oliver Stone al SalinaDocFest