Istrionico, indisciplinato, contraddittorio. È il 1972 quando Ilie Năstase irrompe nel tennis mondiale: vince lo US Open, arriva in finale a Wimbledon e guida la Romania alla Davis Cup. A raccontare quell’ascesa esplosiva è Nasty – More Than Just Tennis, documentario romeno del 2024, diretto da Tudor Giurgiu (Of Snails and Men), Cristian Pascariu (Bețișoare rock n’roll) e Tudor D. Popescu (The Goat with Three Kids), disponibile su Paramount+ e Sky dal 5 luglio. Un film dallo stile incalzante e visivamente brillante, che però si ferma alla superficie del personaggio.
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Il titolo è già una dichiarazione di poetica: non si parla solo di tennis, ma di un’esplosione di carisma e caos. Il documentario prova a mettere ordine in quel disordine affascinante, usando un montaggio libero, quasi jazzistico, fatto di salti temporali, materiali d’archivio, interviste contemporanee e inserti animati. Il ritmo è scattante, la regia si diverte a seguire le traiettorie imprevedibili di un personaggio che era imprevedibile anche fuori dal campo.
Nasty . Lo showman che veniva da Bucarest
Ilie Năstase è stato molto più di un talento: era un artista dell’imprevisto, un provocatore nato, una rockstar con la racchetta. Il film restituisce bene questa atmosfera di caos creativo: il pubblico ride, si scandalizza, applaude. In campo era uno spettacolo totale. Protestava con gli arbitri, scherzava con il pubblico, mimava scene teatrali per distrarre l’avversario. A volte si rifiutava di continuare il gioco, altre volte trasformava il match in un duello psicologico. Năstase non giocava solo a tennis: metteva in scena sé stesso.
Attraverso le voci di Ion Țiriac, Jimmy Connors, Björn Borg e Rafael Nadal, il documentario mette in fila ricordi e aneddoti, tra ammirazione e nostalgia. Nadal, in particolare, dice una frase chiave: «Io credo che quello che gli piaceva era sentirsi unico». Il racconto abbraccia anche la cultura pop dell’epoca, tra poster sbiaditi, copertine di riviste e inserti animati che rievocano le pubblicità vintage. Il tono è giocoso, quasi da fumetto, come se anche la regia volesse stare al passo con un personaggio così difficile da contenere.
Una mitologia, non un’indagine
Ma dietro il colore, resta il limite maggiore: Nasty è più un’ode alla leggenda che un’indagine sull’uomo. Il documentario evita quasi sempre le zone grigie, le cadute, le contraddizioni reali. I rapporti con il regime comunista di Ceaușescu sono citati, ma non indagati. Così come la celebre frase razzista rivolta a Serena Williams: viene accennata, senza contesto né confronto.
La narrazione è avvolgente, patinata, costruita per affascinare. Funziona, ma alla lunga toglie profondità. Anche quando Năstase apre uno spiraglio sulla propria fragilità, il film non entra. Come in questa battuta, che meriterebbe un altro tipo di spazio: «Ti senti diverso dalla gente normale? – gli chiede l’intervistatore, – Non credo – replica il tennista – non mi rendo conto di chi sono o di cosa faccio. Per me ogni giorno è una partita diversa». C’è tutta una filosofia dell’erranza in queste parole. Ma il documentario le lascia scivolare, senza appoggiarsi davvero.
Il tempo, il corpo, il ricordo
Oggi Năstase ha 78 anni, e lo vediamo aggirarsi tra i suoi trofei, le foto sbiadite, le clip in vhs. La scena finale ha un gusto malinconico ma trattenuto: sembra di vedere un attore rimasto sul palcoscenico dopo che il sipario è calato.
Il corpo, un tempo leggero e scattante, è oggi rallentato, appesantito. Ma il personaggio resta: sbruffone, autoironico, incostante. C’è ancora un guizzo da monello nello sguardo. Năstase non ha mai voluto crescere davvero. Il documentario lo accarezza, lo celebra, ma non lo mette mai in discussione.
Anche qui, c’era l’occasione per spingere il racconto su un binario più autentico, magari perfino poetico. Ma si è scelto di restare nel territorio confortevole del ritratto nostalgico, senza squarci emotivi o contrasti forti.
Conclusione: un film godibile, ma addomesticato
Nasty – More Than Just Tennis è un film che si guarda con piacere, con ritmo, con sincera curiosità. Funziona come introduzione leggera a un personaggio larger than life, ma si ferma lì. È brillante, sì. Ma anche addomesticato. Come se il film stesso si fosse fatto incantare da Năstase, scegliendo il fascino del caos alla fatica della verità.
Tudor Giurgiu, autore di film come Of Snails and Men, mostra la sua sensibilità narrativa. Cristian Pascariu, selezionato nella competizione di cortometraggi al TIFF (Transilvania International Film Festival) per Bețișoare rock n’roll, contribuisce con uno sguardo visivo vivace. Tudor D. Popescu, anche montatore, orchestra un flusso che intrattiene. Ma insieme sembrano più impegnati a proteggere il mito che a raccontarlo fino in fondo.
Il risultato è un affresco pop, luminoso, coinvolgente. Ma anche un po’ troppo ‘educato’, per un soggetto che non lo è mai stato. Ilie Năstase resta una figura impossibile da incasellare: un anarchico con la racchetta, che il film ci mostra, ma solo fino a un certo punto.
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