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‘Capi di Stato in fuga’: se la propaganda avesse i muscoli

Su Prime la missione più improbabile dell’anno

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Che cosa accadrebbe se l’Air Force One venisse abbattuto da un pericoloso trafficante d’armi russo assetato di sangue? Che ne sarebbe della NATO se, attraverso un attacco hacker, emergessero prove di compromissioni politiche e sabotaggi interni? E soprattutto: in una situazione diplomatica tanto disastrosa, chi sarebbe in grado di sistemare le cose?
Capi di Stato in fuga fornisce una risposta quanto meno originale: John Cena e Idris Elba. Sì, proprio loro.

La nuova spy-comedy d’azione firmata dal regista russo Ilya Naishuller (già autore di Hardcore Henry e Nobody), prodotta da Amazon MGM Studios, riscrive il ruolo — e soprattutto l’aspetto fisico — delle figure politiche incaricate di salvare il mondo. Il risultato? Diciamo che l’efficacia non è esattamente il suo punto forte.

Capi di stato in fuga: La trama

Il presidente degli Stati Uniti, Will Derringer, e il primo ministro britannico, Sam Clarke — interpretati rispettivamente da Cena ed Elba — sono due leader agli antipodi. Il primo è fresco di elezioni, amato dal popolo, carismatico, ex attore (i rimandi a Reagan sono evidenti), marito devoto e padre modello. Il secondo è un uomo a fine corsa: impopolare, solitario, e consumato da un dolore che affonda in radici più profonde di quanto lasci trasparire.
Due opposti. Che, per giunta, si odiano.

Dopo una conferenza stampa disastrosa a Londra, i due si ritrovano — per puro caso — sullo stesso aereo diretto a Trieste, dove li attende un vertice NATO. Ma mentre sono in volo, un boato interrompe la loro frivola conversazione: l’Air Force One è sotto attacco. Dopo una lunga sequenza d’azione tra forze speciali e terroristi russi, l’aereo precipita in territorio bielorusso. I due leader vengono dati per dispersi. Il mondo occidentale entra in crisi.

Naturalmente, sono ancora vivi. E si trovano costretti a intraprendere un rocambolesco viaggio attraverso l’Europa, braccati dagli uomini del magnate russo Viktor Gradov (un apatico Paddy Considine), deciso a eliminarli per mandare in frantumi l’alleanza atlantica. È lui l’artefice dell’intera congiura.

Tra Bielorussia, Polonia, Austria e Friuli Venezia Giulia, i due protagonisti imparano — lentamente — a fidarsi l’uno dell’altro, formando l’inevitabile “coppia che non ti aspetti” dei buddy movie.

Problemi, troppi problemi

Il problema, però, è che ogni dettaglio — dai dialoghi ai set — trasuda retorica atlantista come se fosse uscito da un corso accelerato di diplomazia hollywoodiana. La rappresentazione della Bielorussia è ridotta a uno stereotipo grottesco: pecorai, gopnik in tuta Adidas, villaggi spettrali e soldati cartooneschi. L’arsenale del film sembra sponsorizzato direttamente dal Pentagono: armi ovunque, giubbotti antiproiettile che funzionano solo quando serve alla trama, sparatorie continue che cancellano ogni pretesa di realismo o tensione.

Ma, soprattutto, Capi di Stato in fuga non racconta nulla di nuovo. Anzi, è un film che sarebbe sembrato vecchio già trent’anni fa. Una gigantesca pubblicità filo-occidentale, e soprattutto filo-statunitense, della specie più becera. Non si prende nemmeno la briga di mascherarsi da thriller politico: niente sottotrame intriganti, nessuna zona grigia. Solo due improbabili capi di Stato che si scambiano frasi fatte, inneggiano all’unità e alla fratellanza tra popoli, e ci ricordano — senza neanche troppa sottigliezza — che senza gli Stati Uniti (e un po’ d’Inghilterra), l’Occidente è solo una banda di Stati litigiosi sull’orlo del collasso. E ovviamente: i russi sono i cattivi assoluti.

Capi di Stato in fuga vorrebbe essere una commedia surreale mascherata da thriller internazionale. Ma si perde in un limbo: non ha il coraggio di diventare davvero folle, né la sostanza per essere serio fino in fondo. È violento, ma non troppo. Comico, ma appena. Serio, ma solo di facciata. E così resta bloccato in una terra di mezzo, senza tono e senza direzione.

Il paradosso dei personaggi

Il personaggio di Cena è l’emblema di questa fastidiosa ambiguità: un ex attore d’azione diventato presidente, che si ritrova a fare nel film esattamente ciò che faceva nei suoi film d’azione. Una trovata metacinematografica che potrebbe essere brillante — se fosse davvero consapevole. Invece è solo una scusa per vedere Cena fare Cena, in un loop senza ironia. Sembra quasi che il film tenti di dire qualcosa sul rapporto tra spettacolo, politica e immagine, ma si fermi sempre un attimo prima di formulare un pensiero interessante.

L’unico lampo arriva con Marty Comer (un ottimo Jack Quaid), agente CIA sociopatico e fan sfegatato del presidente: una macchietta fuori di testa, ritmata e autoironica, che sembra provenire da un film molto più interessante. Le sue poche scene sono un bizzarro cocktail di comicità ansiogena e fanatismo cieco, che riesce a far sorridere e inquietare allo stesso tempo. È un momento breve ma vivace, che lascia un sapore amaro: perché non puntare su quel tono anarchico e scorretto per l’intera durata?

Il folle e simpatico Marty Comer.

Un film ignavo

Ma Capi di Stato in fuga non osa. Preferisce rifugiarsi nella retorica più facile: quella dell’“unione fa la forza”, del “bene contro male”, dell’intervento statunitense come soluzione universale. È un film travestito da prodotto d’intrattenimento, ma sotto il costume ha l’anima di un mero spot governativo. E lo spot, va detto, non è nemmeno ben girato.

Naishuller riesce in un’impresa non da poco: rendere piatto, anonimo e noiosamente edificante un film d’azione con Cena ed Elba. Tutto è prevedibile, scolastico, addomesticato. Le scene action non sorprendono mai, la parte spionistica è abbozzata e la comicità è debole, affidata a battute telefonate che non graffiano. È un film fatto con il freno a mano tirato, che rifugge ogni forma di rischio creativo.

In conclusione, Capi di Stato in fuga aveva tutte le carte per diventare una spy-comedy scorretta e imprevedibile, ma sceglie di essere un prodotto che, appositamente, non disturba nessuno. Una lunga corsa verso il compromesso, dove ogni spunto interessante viene smorzato, edulcorato, reso innocuo. Solo gli attori sono nuovi. Ma il film, purtroppo, è sempre lo stesso.

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