Interviews

‘La Liberazione, un film di famiglia’ Intervista a Paolo Simoni

L’attenzione al frammento

Published

on

La Liberazione, un film di famiglia, realizzato con il contributo di immagini inedite provenienti da alcuni tra i principali archivi e le cineteche italiane, è un racconto del periodo 1943 – 1945, costruito attraverso le immagini delle cineprese amatoriali. Un film d’archivio collettivo presentato lo scorso 25 aprile, in occasione della celebrazione degli 80 anni dalla Liberazione dal nazifascismo, presso il Cinema Modernissimo di Bologna e alla III edizione di Unarchive Found Footage Fest. Noi di Taxidrivers abbiamo avuto il piacere di intervistare Paolo Simoni che, insieme a Michele Manzolini, è autore e curatore del film. 

La Storia mentre accade

La Liberazione, un film di famiglia (video 2k da pellicole 8mm, 9.5mm e 16mm 1943-1945, 40’) propone un viaggio nel tempo e nello spazio, attraverso immagini di diversa provenienza territoriale. Lazio, Piemonte, Liguria, Lombardia ed Emilia Romagna: attraverso le piccole cineprese, partigiani soldati preti e normali cittadini hanno sentito l’esigenza di documentare a futura memoria – e, in alcuni casi, a loro rischio e pericolo – la Storia mentre accade, ma anche le lunghe attese e la vita quotidiana che si incrociano con gli avvenimenti del biennio 1943-45.

E poi la Liberazione: l’arrivo degli Alleati, la gioia, i balli e finalmente il tempo di sposarsi. La Liberazione, un film di famiglia, è prodotto da Fondazione Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia insieme all’Istituto Storico Parri Bologna Metropolitana e realizzato con la collaborazione e la partecipazione di Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza e di Cineteca di Bologna, Museo Nazionale del Cinema, AAMOD – Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, Archivio Cinescatti di Lab 80 film – Archivio regionale del film amatoriale e di famiglia – Lombardia, Archivio Superottimisti e CSC Cagliari della Società Umanitaria – Cineteca Sarda.[sinossi ufficiale]

Una rappresentazione collettiva

Con Liberazione, un film di famiglia compi un’operazione artistica e allo stesso tempo di storiografia visiva, riproponendo testimonianze raccolte attraverso filmati amatoriali. Per iniziare, però partirei dal titolo. Perché la Liberazione è una questione di famiglia?

Il titolo ha diversi significati. Innanzitutto, le immagini utilizzate rappresentano uno sguardo dal basso su un preciso momento storico che va dal luglio del 1943 fino all’aprile e al maggio del 1945, date che segnano la fine della Seconda Guerra Mondiale. Un arco temporale di circa due anni; periodo che è sfociato nella Liberazione dal nazifascismo. In questo contesto storico sono stati realizzati, da diversi autori, i frammenti filmati confluiti ne La Liberazione, un film di famiglia

Così si è configurata una visione d’insieme di rappresentazione collettiva, un ritratto di famiglia allargata alla comunità. Sicuramente, c’è stata la volontà di portare questi sguardi sulla storia da una dimensione privata a un’altra pubblica, con lo scopo di renderli patrimonio comune da condividere, perché questa storia, anzi, queste storie appartengono al nostro Paese, con i tutti i significati reali e simbolici, validi ancora oggi. E da qui potrebbe scaturire una riflessione sulle guerre, non solo quelle del passato. 

E poi, riscoprire questi momenti e capire come erano vissuti dalla gente comune ci ha fatto emozionare enormemente. Rivedendo quegli sguardi, quei sorrisi, dopo tanta sofferenza, si percepisce il bisogno, la necessità della Liberazione, intesa nel suo più ampio significato. Il film è stato concepito, principalmente, tenendo presente questo sentimento popolare e segue, attraverso una narrazione frammentaria, la lotta partigiana, diventando un racconto per immagini d’archivio e voci dei testimoni del tempo. 

La Liberazione, un film di famiglia: la Resistenza nel filmare

Da quel che dici La Liberazione, un film di famiglia tra le tante cose è anche un tentativo di memoria. E su questo prendo in prestito un piccolo estratto di un tuo intervento, facilmente rintracciabile in rete, in cui riconduci il ricordare come un ritorno al cuore, sede, secondo gli antichi, di ogni emozione. Allora, ti chiedo: la memoria ci fa ancora emozionare?

Per fortuna ci emozioniamo ancora. Il film è a suo modo un documento, composto da diversi frammenti visivi e audio, proposti, a volte integralmente, a volte con interventi minimi in montaggio, come l’aggiunta di didascalie e della musica che, senza essere troppo invadente, carica di emozioni la parte visiva. 

Dunque, da un lato persiste la fattura documentaria e storiografica dei filmati amatoriali utilizzati. Accanto a questa viene a formarsi una componente emozionale, appunto. Un esempio è il bisogno, cui accennavo prima, di liberazione dal dramma della guerra vissuto dalla gente comune. È questo bisogno a far scaturire i momenti di allegria, di scherzi vissuti anche dai partigiani, con alcuni di loro che si  cimentano con le prime cineprese amatoriali.  Questo ci fa capire come la vita continui durante la guerra, anche come forma di resistenza e filmarsi mentre si sta insieme diventa normalissimo, seppure in quel momento si sta combattendo contro un esercito occupante. Il cinema della e sulla Resistenza è stato spesso un cinema epico e celebrativo. Noi con La liberazione, un film di famiglia, invece, abbiamo preferito dedicarci ad altro, andando alla ricerca del quotidiano.

…Il peggio doveva ancora avvenire…

Probabilmente è semplicemente una mia suggestione, ma il film inizia con una sorta di preludio, composto dai filmati realizzati dal giovane architetto Costantino Forleo, dove ho avvertito la cifra stilistica, con le dovute differenze, delle fotografie scattate da Eugene Atget, dedicate alla Parigi della metà del XIX secolo. Nelle foto di Atget viene eliminata del tutto la presenza umana, a vantaggio delle strade, della capitale francese. Lo stesso avviene con i filmati di Costantino Forleo, dedicati ai monumenti di Roma. Le antiche rovine dell’impero accostate alle rovine dei bombardamenti. È stata una vostra volontà, introdurre lo spettatore nel tessuto filmico del film, con questi filmati che mostrano il palcoscenico della realtà, rimuovendo la presenza umana, mostrando una Roma a tratti spettrali?

È una chiave di lettura molto interessante. I film amatoriali scelti vengono messi insieme seguendo un principio cronologico, con spostamenti spaziali dal Sud al Nord, ma la suggestione Atget calza benissimo. Ed è proprio vero: le immagini di Costantino Forleo del 25 luglio 1943 ci hanno impressionato per la componente metafisica, individuabile, sostanzialmente, nei monumenti di una Roma deserta, sospesa in quel passato antico dell’impero, manipolato dalle ambizioni del Fascismo. Questo crea l’effetto spettrale di cui parlavi, che viene rimarcato dalle inquadrature sui carri armati tedeschi; una presenza inquietante e premonitrice.

Il film, ad ogni modo, insieme ai momenti di gioia, di cui parlavo prima, vuole evocare anche qualcosa di sinistro o comunque d’incertezza. La caduta del Fascismo, senza dubbio, veniva accolta dalla stragrande maggioranza della popolazione come una liberazione. Allo stesso tempo, però, non era per nulla chiaro cosa sarebbe accaduto di lì a poco. In quella fine di luglio del 1943, quando sono state girate le immagini, la guerra non era certo conclusa e il peggio doveva ancora avvenire. 

Don Giuseppe Pollarolo: un prete tra i partigiani

Dunque, gioia, ma anche tante incertezze. Infatti, in una delle didascalie del film viene riportata la scritta: Una storia intrecciata alla vita quotidiana. Tensione, paura, guerra e liberazione. È così che emerge il racconto dal basso, un ritratto collettivo?

Vengono rappresentati i sentimenti del momento colti dalle cineprese, senza alcuna mediazione, limitandosi, se così si può dire, a carpire il momento. Questa considerazione è valida in generale. Tuttavia è pure vero che  alcuni film amatoriali sono stati girati con un minimo di messa in scena, concepiti per essere considerati e usati come ricostruzioni.

 Un esempio sono i film realizzati da Don Giuseppe Pollarolo, un appassionato cineamatore che sarà uno dei principali narratori della vita quotidiana passata sui monti, insieme ai partigiani. Era lui stesso a organizzare varie proiezioni dei suoi film, con lo scopo di sensibilizzare e creare una coscienza a favore della lotta partigiana. Altri film amatoriali, invece, sono stati girati senza nessuna finalità precisa, ma semplicemente per soddisfare il bisogno dell’autore di cogliere l’attimo di quel momento

L’attenzione al frammento

In uno dei filmati di don Giuseppe Pollarolo possiamo ascoltare anche la sua voce, mentre espone i motivi che lo hanno spinto a realizzare questi film amatoriali sulla Resistenza e lo fa utilizzando il verbo, oggi desueto, Cinematografare. Una conferma a quello che hai appena detto sulla volontà di raccontare e mostrare il più possibile i suoi documenti visivi?

Sì, certamente, è evidente che Don Giuseppe Pollarolo ha avuto questa intuizione. È importante, inoltre, ricordare che le sue, come tante altre testimonianze visive, sono state raccolte dall’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, diretto da Paola Olivetti che ha collaborato alla realizzazione di La Liberazione, un film di famiglia, insieme a Micaela Veronesi ed Elena Pirazzoli. In particolare, la testimonianza di Don Pollarolo è di Paolo Gobetti, mi fa piacere ricordarlo.

Ci tengo, però, a soffermami un attimo sul concetto di autorialità che preferiamo sfumare per quanto riguarda il nostro lavoro. Indubbiamente con questo film abbiamo composto un discorso, attraverso immagini preesistenti, rendendole fruibili, dopo 80 anni dalla loro realizzazione e condividerle ancora con la comunità, ma il nostro è principalmente un lavoro di archivisti. Ho lavorato a diversi progetti cinematografici, come Formato ridotto,  Libere riscritture del cinema amatoriale. Più di frequente ho curato selezioni d’archivio, per le quali c’è un’elaborazione basica, perché il principale obiettivo di questi lavori è quello di preservare l’integrità del materiale, concentrando l’attenzione sul frammento. 

La partitura di Guglielmo Pagnozzi

Con La Liberazione, un film di famiglia si sono aperte strade che in passato abbiamo deciso di non percorrere. Per esempio abbiamo usato una sonorizzazione che tende a dialogare con le immagini, senza divenire  predominante. Questo è stato possibile grazie all’ottimo lavoro di Guglielmo Pagnozzi, curatore delle musiche. Pagnozzi ha deciso di adottare un approccio scrupoloso, evitando l’enfasi. Il risultato è stato un qualcosa che non si può convenzionalmente definire colonna sonora; piuttosto, una partitura, con diversi andamenti, che funziona per frammenti. 

Come per altre componenti del film, anche per la musica si è tenuto conto di trovare un particolare equilibrio tra i tanti momenti, come le immagini che riguardano la liberazione di Bologna, mantenendo, però, una certa pacatezza, anche sulle immagini finali del ballo, dove attraverso la combinazione tra immagine e suono si viene a creare un’atmosfera sognante, di speranza, che però prefigura un futuro pieno di incognite. 

Con questo film realizzi un processo di attualizzazione delle immagini in movimento, un processo che possiamo collegare a quello di Rimediazione degli archivi audiovisivi, come quello dell’Archivio Nazionale del Film di Famiglia?

Sicuramente è fondamentale la rimediazione dall’analogico al digitale. In questa operazione ho sempre sostenuto una politica basata su una rimediazione capace di trasmettere il valore tecnologico, sociale ed estetico del cinema amatoriale che, indubbiamente, ha delle caratteristiche proprie. È così che la rimediazione diventa anche un’attualizzazione, mirata, però, a non stravolgere il significato e il valore culturale originario.

La liberazione, un film di famiglia, tra passato e presente

In questo modo si creano le migliori condizioni per scoprire o riscoprire alcuni aspetti di comunanza tra passato e presente. Gli sguardi antichi, spesso, ci trasmettono molto di più di quelli contemporanei. E il rinvenimento di questi sguardi avviene in modo molto potente, perché basato sullo scambio, sulla relazione filmica tra operatore e soggetto ripreso. Nessuna forma di mediazione narrativa, limitandosi a filmare le emozioni e così questi film amatoriali diventano anche dei testi visivi aperti che oggi cerchiamo di ricomporre.

In qualità di Direttore dell’Archivio Nazionale dei Film di Famiglia, di archivista e di esperto della leggibilità delle immagini, ti chiedo la tua opinione sul fatto che negli ultimi anni stiamo assistendo a una proliferazione, mai registrata in precedenza, dell’immagine in movimento come forma di comunicazione in ogni ambito. Questo fenomeno aiuta il lavoro degli archivi audiovisivi o lo ostacola ulteriormente?

È questa una questione molto complessa. Basti pensare alla vastità di materiale visivo realizzato a partire dall’invenzione della pellicola, fino a oggi, con il digitale. La diversa natura di questi materiali tira in ballo differenti linguaggi, differenti fase storiche e occorre iniziare a stabilire delle precise strategie di salvaguardia del materiale audiovisivo, visto che la produzione dei cosiddetti film e video amatoriali, in tempi più recenti, è decisamente più frastagliata rispetto al passato. 

Oggi con il digitale e con tutti i dispositivi di registrazione a disposizione sono esplose le possibilità di captare la realtà che ci circonda, ma allo stesso tempo il processo di conservazione diventa sempre più fragile. Del resto preservare tutto è impossibile. Oggi, però, viviamo in un’epoca in cui si è ossessionati dall’illusione di archiviare tutto, una vera patologia. È come pretendere, attraverso gli archivi, di riprodurre una mappa speculare del mondo. Questo è un aspetto della follia del mondo in cui viviamo.

 

Exit mobile version