Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro
Gianni Amelio. Quel certo tipo di cinema
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1 giorno agoon
La ricerca della figura paterna
Nei suoi film presentati durante le serate del Pesaro Film Festival nella sala grande del Teatro Sperimentale, ricorre la figura del mentore, come quella di Lorenzo per Michela nel film La tenerezza (2017), quella del professore per Jacques Cormery nel Primo Uomo (2011), o Aldo Braibanti per Ettore nel Signore delle Formiche (2022). Nel suo libro autobiografico a cui Gianni Amelio si è ispirato, Albert Camus scrive: Mi rendo conto di aver bisogno di qualcuno che mi indichi la strada.
Abbiamo chiesto a Gianni Amelio che significato ha per lui questa figura così presente. Risponde che più che di un mentore si può parlare di una figura paterna, quella di un padre putativo, che può essere letto in tanti modi, come guida, come maestro, come padre naturale. Io ho coniugato in tutta la mia filmografia questo tema, in tutte le forme. Mi sono guardato dentro e con grande sincerità e qualche sforzo mi sono reso conto che avevo bisogno di un mentore, di un padre.
Lui suo padre non l’ha mai veramente conosciuto. E’ partito dall’Italia quando aveva quasi due anni e l’ha rivisto a sedici anni. È stato un trauma incontrarlo. Non ci siamo detti nulla e per anni non siamo stati capaci di comunicare. Quando mio padre è morto, ho capito che era finito un pezzo della mia vita. La scomparsa di suo padre è stata uno dei giorni più cupi della sua vita, ammette. Questo lo ha stimolato a raccontare poi il mio bisogno di paternità e figliolanza in quasi tutti i suoi film.
Resto fedele ai temi che voglio esprimere e che sento di comunicare al pubblico.
Con altri argomenti sarebbe meno sincero. Dopo aver esplorato a fondo il rapporto spesso maschile tra allievo e mentore o tra padri e figli, pensa di voler esplorare l’universo femminile, fin ora subalterno alla figura maschile. In Campo di battaglia (2024), ho molto creduto nel personaggio di Anna, a cui ho affidato la conclusione. I due protagonisti del film alla fine sono due perdenti. Anna è colei che rimane presente fino all’ultimo e restituisce un futuro di speranza con la frase “Qui non deve morire nessuno”.
Un regista cinefilo
Nel saggio a lui dedicato, ultima pubblicazione monografica della Mostra del cinema di Pesaro, Gianni Amelio, il campo del cinema a cura di Pedro Armocida e Anton Giulio Mancino, emerge la passione cinefila di Gianni Amelio. Per l’occasione gli è stato chiesto di elencare dieci film degli anni duemila da lui amati. Tra questi ci sono Favolacce (2020), di cui parleremo in chiusura e Megalopolis (2024) di Francis Ford Coppola. Di Megalopolis sottolinea che si tratta di un film molto azzardato e rischioso. Mi ha commosso la vitalità estrema che Coppola ha messo nelle immagini, nella storia. E’ un film volutamente divisivo.
Ho immaginato Megalopolis come potrebbe essere il mio futuro testamento quando avrò l’età di Coppola.
Gianni Amelio conosce tutti registi citati nella sua lista, tra cui lo stesso Francis Ford Coppola. Ricorda che il regista americano gli disse “Tu hai fatto l’America”, per i critici e registi americani il suo film L’America (1994) è stato un evento. Superiore al Ladro di bambini (1992), superiore a Porte Aperte (1990). Alla domanda se ha pensato a Orizzonti di gloria (1957), come uno dei riferimenti per Campo di battaglia, Gianni Amelio risponde che il film di Stanley Kubrick ce l’ha dentro sin dal 1957, l’anno in cui uscì in sala.
Prima di Orizzonti di gloria Stanley Kubrick non era molto conosciuto. Kirk Douglas chiamò Stanley Kubrick per girare il film perché capì di avere davanti un genio. Il film esplose in Italia e in Europa. In Italia ci fu un enorme successo di critica. Amelio aveva dodici anni. Non capiva le sfumature stilistiche ma lo emozionò la scena finale. Si tratta di un film apparentemente distaccato, il contrario del melodramma che può essere accusato di una certa freddezza. Per questo motivo l’ultima sequenza mi ha commosso.
Filmare la guerra
Per tornare sul discorso dei film di guerra, Gianni Amelio sottolinea come lui sia stato un regista che non è mai entrato nelle trincee. L’unica scena che non ama di Orizzonti di gloria è il piano sequenza dentro la trincea. Il piano sequenza girato da Kubrick in Orizzonti di gloria è Il cosiddetto pezzo di bravura, una carrellata con la camera a mano attaccata al corpo dell’operatore. A quel punto ho pensato che il regista fosse indifferente alla sorte dei soldati. Con il finale mi sono riconciliato con il film.
Amelio racconta di una spettatrice che dopo aver visto Campo di Battaglia (2024), gli chiese se fosse stata sua la scelta di posizionare la telecamera dietro le spalle del soldato nel momento in cui viene colpito, in questo modo si è sentita colpita lei stessa da quel colpo. È in questi momenti che si ha la soddisfazione di aver fatto un film in un certo modo.
La serialità
È molto difficile entrare nel mondo delle serie, afferma Gianni Amelio. Mi sono proposto varie volte alle mie condizioni e spesso non ho travato un accordo sulla storia da raccontare. Spesso chi produce prodotti audiovisivi seriali in Italia ha in mente i prodotti americani. Ci deve essere un riferimento culturale italiano. Oltre la mafia, la Sicilia, i tramonti, le albe, le cartoline, non ci sono molti altri riferimenti. Ha rischiato una volta di fare una serie, ma non era il momento giusto. In occasione di una presentazione in Australia del film Il ladro di bambini (1992), un insegnante ha assegnato ai suoi alunni come tema quello di immaginare in che modo potesse continuare la storia dei personaggi.
Gli sono arrivati molti temi, tra cui ne ha travati cinque meravigliosi. Forse usando quei cinque temi come punto di partenza si poteva raccontare come crescevano i due bambini protagonisti. Negli anni ’90 Gianni Amelio ha seguito le grandi serie americane. Per il regista la più bella serie americana è Six Feet Under, per me è Bergman, si parla di vita e di morte. E’ la storia di una famiglia che gestisce un’agenzia di pompe funebri, una madre, un padre, tre figli. La serie ha sei stagioni di undici episodi l’una. Lo ha accompagnato per anni.
Gli attori
Quando viene citato Enrico Lo Verso, protagonista di alcuni suoi film, Gianni Amelio, come un professore spiega la distinzione di Jean Renoir tra le categorie di attore (acteaur) e interprete (comedienne). Tra gli attori segnala come suo punto di riferimento Anna Magnani. Lei è sempre uguale ma sempre diversa allo stesso tempo. Ti aspetti da Anna Magnani che ci sia lei in ogni film. Immaginiamo l’Etna che erutta in diversi momenti, non c’è nessuna somiglianza tra le due eruzioni perché ognuna è diversa, ma sono due fenomeni di natura. Questa è l’idea che ho di Anna Magnani, per me lei è come l’eruzione di un vulcano, perché è sempre uguale e sempre diversa in ogni film.
L’interprete è un attore estremamente bravo in grado di fare parti molto diverse l’una dall’altra. Elio Germano, Pierfrancesco Favino sono gli interpreti oggi per Gianni Amelio. Tra le attrici Margherita Buy è un’interprete. Trova meravigliosa Micaela Ramazzotti nel suo film La tenerezza. Enrico Lo Verso è un attore, come Anna Magnani. È lui il protagonista di quello che considera il suo film migliore, Così ridevano (1998). In quel film Enrico è un grande attore e un grande interprete. Ha una natura personale, ricca che porta sullo schermo apparentemente senza sforzo per quando questa sua natura è vera.
Io vorrei che qualcuno trovasse un mio film recitato male, non c’è. Gli attori sono per il regista come i colori per un pittore.
Quel certo tipo di cinema
Quel certo tipo di cinema è il titolo che i Fratelli D’Innocenzo hanno dato alla loro introduzione per il saggio su Gianni Amelio. Durante il suo incontro il regista ha raccontato del loro strano incontro. Il problema che avevano era la fame e io li sfamavo. Gianni Amelio, racconta di averli frequentati per un anno, tutti i giorni, mangiavano insieme e parlavano di cinema, o forse l’incontro è avvenuto con uno solo dei due perché non li distingue, scherza, o forse no. Per me Favolacce è il miglior film italiano degli anni 2000.