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Ischia Film Festival, l’isola felice del cinema

Il direttore artistico e fondatore dell’Ischia Film Festival, Michelangelo Messina, ci racconta tutto della 23a edizione

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Se il cinema è una magia, questa si ritrova all’ennesima potenza nell’incantevole cornice del Castello Aragonese che, dal 28 giugno al 5 luglio, ospiterà le proiezioni, gli ospiti e gli incontri dell’Ischia Film Festival. Un castello quattrocentesco che è una piccola isola all’interno dell’isola di Ischia nell’isola dello schermo del cinema. 32 lungometraggi e 40 cortometraggi ci faranno scoprire nuovi paesaggi, storie, personaggi, con opere provenienti da ogni parte del globo, dagli Stati Uniti al Kazakistan, dal Giappone all’Argentina.

Per saperne di più di questa 23a edizione dell’Ischia Film Festival, abbiamo intervistato il suo fondatore e direttore artistico, il sempre appassionato Michelangelo Messina.

Qual è la specificità di una manifestazione come l’Ischia Film Festival? Ci aiuti a tracciarne la storia?

La specificità è l’aver scelto un tema fondamentale come i luoghi. Il luogo è ciò che ci fa essere, che ci contraddistingue. Oggi più che mai ritengo essenziale, non solo per il momento cupo e incerto che stiamo attraversando, sottolineare l’importanza del luogo per l’essere umano. I luoghi ci formano, ci conformano, ci fanno appartenere. Non sono una semplice location o lo sfondo di un racconto, sono la nostra vita. La specificità di questo Festival è volerli raccontare attraverso una selezione di opere e la sensibilità di registi che da lì partono per i loro film. Non ho mai voluto fare un Festival generalista, ce ne sono già tanti, anche grandi, come Venezia o Cannes, non c’è bisogno di aggiungerne altri. Credo che ogni manifestazione debba avere un obiettivo specifico, per accendere i riflettori su un elemento del racconto cinematografico. Noi abbiamo scelto i luoghi.

Credo sia stato proprio tu a coniare in Italia l’espressione cineturismo. Come si collegano i film, i Festival e il turismo? Alla fine si parte sempre da un luogo per raccontare una storia, anche quando si parla di un Festival: il Castello Aragonese per l’Ischia Film Festival ne è un esempio emblematico.

Inizialmente non pensavo di creare un Festival, poi è nato a supporto di un’idea. Tutto comincia con un progetto che si chiamava Cinema e Territorio, nel 2000. Io venivo da quindici anni di esperienza come location manager, soprattutto con produzioni straniere, che hanno una visione del cinema più commerciale rispetto a quelle italiane. Mi rendevo conto di quanto incidesse una produzione internazionale su un territorio, sia in termini di promozione pubblicitaria, sia in immediati termini economici, per quello che portava. Ti parlo degli anni ‘90, quando non c’era nessuno studio a riguardo in Italia. Non essendo un accademico, per portare all’attenzione della stampa questa mia passione, ho pensato di creare un Festival dedicato ai luoghi. Poi sì, la parola cineturismo è un mio marchio registrato. Il concetto, però, già esisteva, non l’ho inventato io, esordisce con la nascita del cinema. Un altro termine che ho lanciato in Italia è stato location. Sfido chiunque a trovare qualcuno che l’abbia utilizzato prima del 1998 in Italia, quando sono partito con questo progetto. La soddisfazione più grande è stata che, dopo qualche anno, tutti lo usavano. Da allora, sul fenomeno si sono aperti gli occhi della stampa, dell’Accademia, sono cominciate le tesi di laurea, a cui ho fatto pure da consulente. Ho lanciato iniziative che, successivamente, si sono sviluppate un po’ ovunque: ho fatto la prima app nazionale sui luoghi del cinema, i primi movies tours in Italia, la prima movie map, la prima pannellistica con codici Qr sui luoghi del cinema. Tutte cose su cui poi le Film Commission hanno fatto fortuna. All’epoca avevo interpellato le quattro che esistevano: la Roma Lazio, quella di Torino, del Friuli Venezia Giulia e della Liguria. In seguito sono nate come funghi, per utilizzare i soldi per la promozione del territorio dell’Unione Europea. Poi nessuno è profeta in patria: mi invitano a parlare a convegni su questo tema in tutto il mondo, ma raramente in Italia.

All’Ischia Film Festival ci sono i grandi ospiti del cinema italiano e internazionale e nelle varie sezioni del concorso un cinema di ricerca con film che vengono da tutto il mondo e che non hanno nessuna visibilità nella nostra asfittica distribuzione. Quanto è complicato tenere insieme queste due anime?

Grazie al web siamo conosciuti in quasi tutti i Paesi del mondo. Tieni presente che il Beijing Film Factory, il portale ministeriale cinese per i registi, autorizza i cineasti cinesi a partecipare a soli tre Festival in Italia: Venezia, Giffoni e il nostro. Ci arrivò una lettera, in cinese, con tanto di timbro del Ministero, che ci gettò nel panico, perché temevamo di aver infranto qualche regola. La facemmo tradurre e diceva che avevano analizzato il nostro Festival e ritenevano fosse meritevole per la sua diffusione della multietnicità. Al nostro bando di concorso internazionale ogni volta c’è una forte partecipazione. Poi c’è stata anche una coincidenza: quando arrivò il Covid, ogni Festival fu costretto ad andare online. Noi siamo stati il primo Festival in Italia a riaprire al pubblico. Ci assumemmo questa responsabilità, anche contro il parere di tutte le istituzioni. I nostri spazi avevano delle caratteristiche che ce lo permettevano, essendo ampi, tutti all’aperto e passando attraverso filtri molto rigorosi. Facemmo un’edizione ridotta, con solo ospiti italiani, non potendo arrivare nessuno dall’estero. Contemporaneamente, però, dovemmo andare anche in piattaforma. Tutti si appoggiavano a MYmovies. Pensai che in quello spazio così affollato non sarei riuscito a trovare visibilità, allora creammo una nostra piattaforma, www.ischiafilmfestivalonline.it: per ogni film trovi l’intervista con il regista, il trailer, la sinossi, tutto con una bella grafica. Il primo anno abbiamo fatto 54mila visualizzazioni, oggi ci attestiamo sulle 78 mila. È una piattaforma attiva solo durante la settimana del Festival, per una questione distributiva e di diritti d’autore, con una sezione specifica che si chiama Confini, opere diverse rispetto a quelle che proiettiamo al Castello. Ci sono registi che preferiscono andare online per visibilità: dal vivo non puoi avere più di 300 spettatori, sulla piattaforma (gratuita) la platea è esponenziale.

Qual è stato il criterio che, in particolare, ha guidato la selezione delle opere in concorso?

Selezioniamo opere che abbiano al loro interno l’identità di un territorio. Gomorra la può raccontare in quel modo solo un italiano, è qualcosa che appartiene al tuo territorio.

La passione di Cristo

Tra i premiati di quest’anno, il meglio del cinema italiano, il premio Oscar Marcia Gay Harden, un autore straordinario come Christopher Nolan, ma anche il regista e produttore palestinese Rashid Masharawi per dire l’attenzione alle persone e ai luoghi, anche quelli che si trasformano in zone di morte.

Rashid Masharawi mi ha sempre affascinato, per le sue opere straordinarie. A lungo è stato una voce nel deserto, da molto tempo denuncia quello che adesso è sotto i gli occhi di tutti. Oggi più che mai la sua presenza all’Ischia Film Festival è importante. Presenteremo il suo ultimo film, Passing Dreams, un’opera che, sono sicuro, colpirà e commuoverà tutti. La sua testimonianza, in un momento del genere, mi sembra fondamentale. Al Festival ho portato le visioni contrastanti di Amos Gitai da un lato e di Abbas Kiarostami dall’altro. La nostra è stata sempre una ricerca delle voci dei luoghi attraverso la settima arte.

Per quanto riguarda Christopher Nolan, dal 2003 abbiamo istituito il premio Foreign Award, un riconoscimento assegnato  alle  migliori  produzioni  straniere  che  hanno  scelto  l’Italia  come  set cinematografico, valorizzandone il patrimonio artistico, culturale e paesaggistico. Ti racconto questa storia: alla prima edizione dell’Ischia Film Festival, faccio la conferenza stampa alla Casa del Cinema di Roma insieme a due premi Oscar, Carlo Rambaldi, che era Presidente di giuria, e Ken Adam, premio alla carriera. C’erano tantissimi giornalisti. Presento gli ospiti e le opere in concorso, poi annuncio il premio Foreign Award a Mel Gibson per La passione di Cristo. E lì parte una risata fragorosa: si alza una giornalista e mi dice, parecchio sarcastica: «Messina, lei è simpatico, però è la prima volta nella storia del cinema che si premia un film che stanno ancora girando». Io risposi che non premiavamo la componente artistica del film, quella sarebbe stata giudicata dai critici e dal pubblico quando il film fosse uscito nelle sale. Noi premiavamo il regista per la scelta dei sassi di Matera, convinti che, quando il film sarebbe stato distribuito nelle sale, sarebbe diventato uno dei massimi esempi di cineturismo in Italia. La passione di Cristo uscì l’anno dopo e si verificò un clamoroso boom di turisti a Matera. «Il Sole 24 Ore» mi dedicò una pagina intera in cui si diceva che avevo anticipato questo fenomeno. Quest’anno faccio la stessa cosa per Christopher Nolan, perché non c’è mai stata una produzione economicamente così forte in Italia come per il suo nuovo The Odyssey, girato alle isole Eolie. Lo aspetto a Ischia, certo immagina gli impegni che ha con un film del genere.

Un altro premio di quest’anno, a cui tengo molto, è Italy for Movies, un riconoscimento ai produttori italiani che fanno lavori internazionali. Per questa prima edizione è stato attribuito a Enzo Sisti, un personaggio straordinario, uno che ha portato in Italia Mission: Impossible III, La passione di Cristo e il James Bond di No Time To Die, solo per citare qualche titolo. Hai idea di quanti soldi ha portato al nostro Paese con questi film? Sono professionalità che non appaiono molto, ma che poi sono fondamentali nel mondo del cinema.

Dal 28 giugno al 5 luglio, Ischia diventerà una vera e propria isola del cinema. Quanto è complicato creare questo spirito di comunità che straordinariamente si respira in quei giorni?

La logistica di Ischia è complicatissima, non è come organizzare un Festival sulla terraferma, ma noi facciamo i salti mortali per mettere a proprio agio gli ospiti e accogliere il nostro pubblico.

L’Ischia Film Festival porta il grande cinema in luoghi magici, non solo lo splendido Castello Aragonese, ma anche Villa La Colombaia, l’ultima dimora di Luchino Visconti, che rivive proprio grazie al Festival. Ci racconti un po’ la storia di questo luogo?

Non a caso quest’anno a Villa La Colombaia proietteremo il film documentario Alida, di Mimmo Verdesca, dedicato ad Alida Valli. Quella casa fu costruita a fine Ottocento e poi acquistata dal barone Fassini. Alida Valli una volta è stata in vacanza lì, ospite del barone. Luchino Visconti frequentava Ischia già dal 1945, anche perché era intenzionato a fare Carosello napoletano, ma poi non se ne fece più niente. In seguito gira La terra trema, che nasce come documentario e diventa un film. Da allora non smise mai di frequentare l’isola, perché c’era tutto un giro di artisti, soprattutto pittori, anche omosessuali, che qui non trovavano i riflettori accesi come su Capri. Pertanto c’era anche una certa riservatezza, oltre a essere un’isola molto più grande. Luchino Visconti passava a Ischia quattro/cinque mesi l’anno, alloggiando nella zona di Ischia Porto, dove c’era un cenacolo culturale: Eduardo De Filippo ci veniva in vacanza, c’erano Anna Magnani, Angelo Rizzoli, però non trovava la casa giusta per lui. Fu proprio Alida Valli a segnalargli Villa La Colombaia. Luchino Visconti la va a vedere, se ne innamora, e si mette dietro al barone Fassini, che non la voleva vendere in nessun modo. Lo sfianca per due anni, finché lui cede. Luchino Visconti la trasforma nel suo quartier generale, dove accoglie tutto il suo entourage, si scrivono sceneggiature, anche quella del Gattopardo, si dice. Alla fine, dispone persino di farsi seppellire lì, il suo luogo dell’anima. Questo filo rosso del luogo lo collega all’Ischia Film Festival.

Luchino Visconti

Cosa credi lo abbia affascinato così tanto di quel luogo?

La filmografia di Luchino Visconti è brevissima, in confronto alla sua attività teatrale. Tutti i film che ha girato, a parte i primi del Neorealismo, possono essere accumunati da un unico termine: la decadenza. Ne era ossessionato, perché sapeva di essere uno degli ultimi esponenti di un mondo, uno stile di vita, la nobiltà, che svaniva. In un’intervista a Pietro Nenni, lui dichiarò che vedeva metaforizzata questa decadenza nel calare del sole al tramonto. Quando ho visitato la sua casa a Como, ho visto che la sua stanza da letto era proprio di fronte alle montagne dove calava il sole. Villa La Colombaia è posizionata nell’unico punto dell’isola di fronte al tramonto.

Villa La Colombaia

Ormai siamo alla 23a edizione dell’Ischia Film Festival. Gli anni passano e la manifestazione è cresciuta sempre di più in visibilità nazionale e internazionale. Quali sono i ricordi più forti, più vivi, che hai di questi anni passati?

Potrei raccontare almeno un aneddoto per ogni edizione, ma ne scelgo tre in tutto. Quello per me più memorabile mi annovera tra gli stalker del mondo del cinema, perché sono andato a New York, a casa di John Turturro, per portarmelo al Festival. Avevo scritto tante volte al suo agente perché l’ho adoravo come attore. Ma niente, era sempre impegnato. A un certo punto viene a girare in Italia e cerco d’incontrarlo attraverso un amico produttore, ma il set era blindatissimo. Gli mando un invito, ma non glielo riesce a consegnare. Allora lui mi dà il suo indirizzo di casa a New York per spedirglielo. Io lo cerco su Google e mi rendo conto che abitava di fronte alla Brooklyn Library, praticamente dove io ho vissuto per un decennio, dai 5 fino ai 15 anni. Allora mi organizzo e parto per un natale a New York, con la famiglia, che non aveva mai visto i luoghi dove avevo vissuto, portandomi questo famoso invito con me. Almeno glielo metto nella casella della posta, pensai, così sono sicuro che lo riceve. Vado lì. Era il 26 di dicembre. Busso alla porta. Una volta, due volte. Stavo per lasciarglielo nella cassetta, quando dal seminterrato sento un rumore di bicchieri che si rompono. Esce John Turturro e mi chiede chi fossi. Gli spiego la situazione. E lui mi risponde: «Ma tu sei venuto in America per questo?». Gli rispondo sì. E lui mi dice: «You’re a crazy man». L’anno dopo è stato ospite dell’Ischia Film Festival. Quando abbiamo fatto la conferenza stampa, davanti ai giornalisti mi posò la mano sulla spalla e disse a tutti: «You see this man? He’s crazy».

Un altro aneddoto per me indimenticabile è stato aver visto un film di Oliver Stone con Oliver Stone, seduti in fondo alla proiezione, perché lui voleva verificare se il suono si sentisse bene fin là. C’è una bella fotografia che ritrae tutti e due su questo muretto. Il terzo ricordo riguarda Pupi Avati, che era già stato da me due volte. Un anno, pur di ritirare il premio alla carriera, mentre stava girando Un ragazzo d’oro (2014), a 76 anni, mi dice: «Guarda, io finisco le riprese alle 17». Alle 17 sale in auto, arriva a Napoli, prende il motoscafo, arriva al Castello Aragonese, si beve un bicchiere, va alla proiezione, ritira il premio con un bellissimo discorso, si mangia una pizzetta, riprende il motoscafo e se ne va alle 23 per tornare a Roma. Solo uno che ti vuole bene e ama il cinema e questo Festival può fare una cosa del genere.

John Turturro

All’Ischia Film Festival c’è una grande cura degli ospiti e delle proiezioni, che vi ha fatto guadagnare la considerazione degli addetti ai lavori e del pubblico, che sempre affolla tutti i luoghi del Festival. Senti lo stesso supporto da parte delle istituzioni?

Purtroppo le istituzioni non percepiscono ancora in pieno l’importanza di questo Festival, che è il primo evento ischitano per riscontro mediatico, di presenze e attrazione turistica. Per esempio, non percepisco nessun contributo dall’isola. Magari i soldi arrivano, però, alla sagra dell’ortaggio. Per fortuna l’Ischia Film Festival è fortemente sostenuto dalla regione Campania, ma poco dalla Direzione Generale del Cinema, cioè dai fondi statali. Dico poco in relazione allo sforzo che facciamo per portare avanti questa manifestazione. Dopo aver fatto arrivare 14 premi Oscar in questi anni, solo per citare gli ospiti internazionali, speravo in una maggiore credibilità, ma non voglio lamentarmi troppo. Il 40% del nostro budget viene da sponsor privati che credono in noi, come Treccani, Bonacina, Bper. Il budget totale è la metà di quanto un altro Festival del nostro territorio, il Giffoni, prende solo dal Ministero. Ti assicuro che facciamo i salti mortali per tenere tutto insieme e, quando vedo i finanziamenti di altri Festival, un po’ di rabbia mi viene. Quindi il supporto c’è, ma io credo che questa manifestazione meriti qualcosa in più per quello che produce.

Oliver Stone con Michelangelo Messina

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