Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro

‘¿Cómo suturar la tierra?’ Dov’è la mia casa?

Scorrere rapido nella nebula della memoria

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Passato l’anno scorso per IDFA, la più importante competizione documentaria europea, ¿Cómo suturar la tierra?, opera prima dell’ecuadoriano Will Paucar Calle, arriva per la sua prima italiana alla Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.

Il cortometraggio, guardando ai maestri del cinema personale come Jonas Mekas e Barbara Hammer, scorre rapido nella nebula della memoria ripercorrendo la fuga della madre del regista dalla guerra ecuadoriano-peruviana degli anni ’80 e la ricerca cinematografica e immaginifica di un senso d’appartenenza.

Corrono rapidi i fantasmi

C’è in sottofondo un pasillo reinterpretato: musica-simbolo culturale ecuadoriana che passa per il nostro presente subendo così un esito trasformativo. Dentro l’immagine, sull’immagine e con l’immagine l’autore cerca la propria casa, scrivendo e parlando di questi viaggio pendente tra passato e presente, tra individuale e familiare.

¿Cómo suturar la tierra? è opera di analisi concentrica, viaggio riflessivo nelle tematiche genealogiche del senso di appartenenza e nel desiderio di trovare, ovunque nel mondo, un posto da chiamare casa.

Paucar Calle proietta l’archivio fotografico di famiglia su pareti e boschi, in un susseguirsi rapido e ventoso che trasmette un ricordo offuscato e irraggiungibile. Parla e scrive con l’immagine e su di essa, tramandando la paura intergenerazionale di una casa perduta, un luogo da ricordare che si teme irragiungibile.

Come la memoria, arcipelago di pensieri fumosi, corriamo sulle strade notturne del film con il regista: rapidi e confusi, senza riuscire a trovare punti di orientamento o di stabilità. Il confine tra reale e magico si confonde, il senso di perdita si amplifica nell’impossibilità di cogliere quello che c’è intorno.

Lo sguardo nel tempo, nello spazio e nella memoria in questa ricerca che si fa riflessione poetica e ci raggiunge in due livelli cronologici: il primo è l’immagine fotografica d’archivio familiare, proiettata nella foresta e lasciata scorrere veloce. Passato che riemerge.

Il secondo cresce nello spazio visivo della videocamera che si muove attraverso un passaggio notturno e invisibile e la voce del regista che recita e sovrascrive. Questo è il presente materiale.

Alla fine sulle pareti e sulle foglie le immagini si disvelano e tornano accessibili, la mamma canta una ninna nanna che riconosciamo. E così non abbiamo più paura.

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