Oggi è difficilissimo sentire parlare di colonia penale, eppure storicamente il concetto di lavori forzati è stato stratificato, intellettualizzato, bistrattato e, infine indorato come una pillola da mandare giù tutta d’un fiato: gli abbiamo dato un altro nome. A Torino, in programma dal 5 al 10 giugno 2025 torna CinemAmbiente,, una cornice adatta ad accogliere dolcemente Nella Colonia Penale, permettendo di aprire la prospettiva su un altro tipo di ambiente, distante da quello a cui riusciamo ad agganciarci ma di cui abbiamo bisogno ancora dobbiamo profondo bisogno di conoscenza, quindi di consapevolezza.
Gaetano Crivaro, Silvia Perra, Ferruccio Goia e Alberto Diana collaborano nella realizzazione di un documentario che per fare un passo in avanti si avvolge su se stesso. Nella Colonia Penale la storia si ritrova nella tecnica del passato, nel realismo autentico del documentario delle origini (fino ad arrivare a un cinema che fa capo a Nanunk, l’Eschimese, senza scomodare Flaherty).
Il film racconta il suo dramma nello sciorinare continuo, incessante e senza tregua di eventi e azioni che tornano vorticose su se stesse. I protagonisti scompaiono nella depersonalizzazione di cui sono vittime e nel contrasto crudele tra uomo e natura a emergere è il trionfo dell’animale libero e dell’uomo in carcere.
Nella Colonia Penale: quello che ci siamo persi nel frattempo
L’apertura del film risulta estremamente suggestiva: le pecore vengono raccolte nelle gabbie prima della macellazione, un evento che viene intravisto solo tramite le tende sporche del mattatoio. Il lavoro non viene spiegato o condiviso, le immagini lo mostrano lasciandosi comprendere nello strato di fumo che avvolge i primi minuti del film e i suoi protagonisti aggirarsi come fantasmi all’interno della fabbrica.
I silenzi sono pesantissimi e appartengono a un mondo che implode in se stesso: al di fuori già estinto ma che ancora sopravvive nei luoghi irreali della Sardegna, che assume tratti sciamanici e tragici, spogli di ogni concretezza. Nelle celle i fantasmi tornano a essere di carne e sangue. Non c’è compassione nello sguardo dei registi né tanto meno se ne evince la volontà di provocarla. Emerge, invece, la determinazione e risolutezza di far fede agli atti: non un fede cieca o biblica, ma una che riporta i valori all’interno di sfere di significato condiviso e che portano i connotati della dignità umana.
Nella Colonia Penale nessuno racconta la sua storia perché non c’è bisogno di farlo, tutte avrebbero il peso e la tragicità del suo accaduto. La riflessione, quindi, slitta direttamente sull’hic et nunc di Walter Benjamin: che cosa stiamo guardando davvero? Come rielaboriamo le immagini nella nostra mente?
Nella terra di nessuno, i luoghi del contemporaneo
Le immagini del film sono i fatti che accadono nel mondo diroccato delle sue celle. Ci troviamo ospiti in una comunità fatta di entità singole, ma raccontate in maniera condivisa – non corale. L’evento di uno può essere l’evento di quell’uno, nessuno e centomila: nella totale e crudele realtà della depersonalizzazione degli ambienti carcerari.
Lo spazio fisico è un luogo diroccato senza passato né memoria: camere vuote, ammuffite e profondamente legate a una sensazione di generale decadimento sociale, oltre che umano. Rimane quindi l’ultimo incredibile dubbio sull’esistenza viva delle persone rimaste a popolarla questa Nella Colonia Penale, ogni tanto parlano e ogni tanto cantano in lingue straniere una storia incomprensibile ma che nel profondo dello stomaco riesce a farsi comprendere. Esistono luoghi come questo che svelano un lato strano della storia, fatto di paradossi e crudezza d’animo e che ci raccontano, senza parlare, moltissimo anche della nostra contemporaneità.