Mubi Film

‘Kinetta’: spettacolarizzazione e sessualizzazione della violenza

Published

on

Kinetta (2005) è il secondo lungometraggio del regista greco Yorgos Lanthimos. Noto al grande pubblico per i suoi più recenti film, La Favorita The Lobster, e considerato tra le rivelazioni della regia contemporanea. Si attende Poor Things, il suo nuovo film presentato in occasione dell’80ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Nonostante sia indubbia una certa e temporale rifinitura nella sua regia e scrittura (se si esplora la sua filmografia, si nota infatti un’attenzione sempre maggiore ai dettagli e ai personaggi), non si può negare la fascinazione dei suoi primi lavori. Kinetta, disponibile su MUBI, è certamente esemplare in questo senso. Questo film esplora il tema della perversione e del voyeurismo utilizzando il cinema come veicolo autoriflessivo.

Kinetta è la storia di due uomini e una donna impegnati in uno strano gioco perverso: si incontrano per inscenare una situazione di violenza. Tale episodio, che viene ripetuto ogni volta, ma aggiungendo dettagli diversi (vestiario, luogo di svolgimento ecc.), vede come protagonista una donna sessualmente molestata e picchiata. La messinscena assume ben presto connotati erotici: in questo modo, i tre (e unici) protagonisti esplorano i loro feticismi sessuali. Tre personaggi spersonalizzati (infatti non hanno alcun nome proprio) e identificabili solo mediante le loro perversioni sessuali…

L’importanza dello sguardo tra voyeurismo e assenza di linguaggio

Kinetta è un film che dà allo sguardo un’importanza preponderante e lo rende protagonista in diverse sfumature. Innanzitutto, Lanthimos ha deciso di narrare la perversa vicenda scegliendo di annullare quasi totalmente la presenza della parola (i dialoghi sono pochi e scarni). É infatti un film composto prevalentemente da suoni del quotidiano, musica greca e soprattutto da un susseguirsi di immagini che ritraggono i tre protagonisti nella loro ordinarietà.

La regia scelta da Lanthimos è immersiva. Ciò perché egli ha utilizzato la macchina da presa come dispositivo che sembra quasi l’occhio stesso dello spettatore. La macchina da presa corre con i protagonisti, li insegue, osserva alcuni dettagli; è un occhio che scruta e sfida le regole grammaticali della regia. Così facendo, lo spettatore e il suo sguardo vengono obbligati all’attenzione: è proprio mediante questo sperimentalismo narrativo che si ricostruisce la vicenda.

L’importanza dello sguardo è appunto un tema ricorrente anche all’interno della narrazione stessa. Uno dei due personaggi maschili è infatti un voyeur a tutti gli effetti (lo vediamo spesso intento ad osservare delle donne da lui scelte come “bersagli” del proprio piacere). Egli, nella perversa messinscena della violenza, narra meticolosamente le azioni e le costruisce quasi a farle sembrare un atto sessuale. L’altro è invece un fotografo con uno strano feticismo verso scene cruente e di morte. La macchina fotografica diviene veicolo voyeuristico: l’immagine viene problematicizzata in quanto oggetto erotico e violento.

L’unico personaggio femminile è invece mero oggetto del piacere sessuale di entrambi: la vicenda diventa dunque la simulazione di un atto sessuale a tre dove però la donna perde qualsiasi autonomia e importanza. Nonostante ella sembri utilizzare questa simulazione erotico-violenta per esplorare le proprie perversioni, viene in realtà abusata dai due uomini.

Le ricorsività di Lanthimos: i vizi umani

Kinetta è un trattato sull’uomo e sul masochismo, a volte nascosto, ma in altre occasioni consapevole ed evidente. Un trattato silenzioso sulla perversione dell’occhio che diviene inquietante perché legata alla violenza; qualcosa che si potrebbe ricollegare a tantissimi contesti della contemporaneità.

In questo suo secondo lungometraggio, conosciamo un Lanthimos ancora un po’ acerbo ma già legato a certi argomenti che ricorrono nella sua intera filmografia. L’uomo è sempre e comunque protagonista dei prodotti artistici del regista greco e per questo riesce a catturare lo sguardo e l’intimità dello spettatore. I suoi personaggi, pur con tratti essenziali, colpiscono sempre.

Exit mobile version