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‘Robinù’ il documentario di Michele Santoro

Uno spaccato di verità, raccontato da persone vere.

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Robinù, un documentario del 2016, diretto da Michele Santoro (Giornalista – conduttore tv), presentato alla 73° Edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, è disponibile su Netflix.

Uno spaccato di verità, raccontato da persone vere.

Il giornalista Michele Santoro realizza questo documentario, senza mediazione, sviluppando un’idea della sceneggiatrice Maddalena Oliva. Robinù ci porta nel cuore del centro storico di Napoli, dove paranze di giovanissimi camorristi spadroneggiano, costruendo una propria mitologia. Michele Santoro mette la macchina da presa a totale disposizione dei protagonisti di una guerra tra emarginati, che hanno pagato a caro prezzo la loro condizione.

La trama di Robinù

Napoli. Bande di adolescenti si combattono in una guerra dimenticata da tutti, che è arrivata a contare oltre 60 morti. La paranza dei bambini, giovani ribelli che sono riusciti a imporre una nuova legge di camorra e il controllo del mercato della droga. Una paranza che da Forcella scende fino a Porta Capuana, una periferia sociale nel centro storico di una città millenaria.

Una narrazione senza mediazione

Mariano, Michele, Taib e tanti altri sono i protagonisti di questo toccante documentario, che con semplicità e senza clamore riesce a far commuovere e riflettere.

Il conduttore di Samarcanda, in questa sua esperienza da documentarista, decide di far parlare direttamente i fatti, o meglio i suoi protagonisti.

Robinù è composto da testimonianze e racconti; un collage di voci e volti segnati da una vita feroce, senza pace.

Ad unire il tutto un evento tragico, all’epoca dei fatti al centro della cronaca nera, ma subito dimenticato, senza lasciare il tempo di riflettere. La morte di Emanuele Sibillo, un giovane di appena 19 anni a capo di una famiglia del rione Sanità.

Emanuele non è stato semplicemente un baby boos, ma un punto di riferimento per i suoi coetanei, un simbolo, un idolo, un mito. È questa la visione che hanno di lui i suoi compagni e amici protagonisti di Robinù.

Il simbolo di una nuova camorra

Ma chi era davvero Emanuele?

Il clan Sibillo è composto quasi esclusivamente da giovanissimi con il grilletto facile, con una certa ispirazione alle gang sudamericane, come viene mostrato nel documentario di Santoro.

Nel 2010, quando Emanuele ha solo 15 anni, la polizia fa irruzione in casa sua e lui lancia due pistole dalla finestra per non farle trovare. Dopo alcuni anni trascorsi in comunità e in carcere, Emanuele torna in libertà e a 18 anni è il capo della paranza dei bambini, attiva nel centro storico di Napoli. Il 2 Luglio 2015, si ritrova in una imboscata e viene ucciso da una pallottola alla schiena.

La storia di Emanuele Sibillo non è semplicemente riconducibile alla criminalità giovanile e non è neanche una storia di camorra. Dall’altra parte Robinù non è solo un documentario sulla camorra.

Alla radice del problema

Michele Santoro va alla radice di un’emergenza sociale che da troppo tempo attanaglia una città ricca di storia e cultura, dove la superstizione si mescola ai riti religiosi, come lo scioglimento del sangue di San Gennaro.

La potenza della camorra si manifesta anche nella movida della città partenopea, dove nei locali notturni alla moda, le varie famiglie rivali si fronteggiano al suon di ordinazioni di pregiati champagne e belle donne da esibire. Ci sono i tavoli riservati alle principali famiglie: la famiglia Pica della Sanità, la famiglia Elia del Pallonetto, la famiglia Esposito e la famiglia Sibillo. Regna un clima festoso e allegro, ma basta un’occhiata di troppo per scatenare una sparatoria.

Un codice di legge non scritte, ma impresse col sangue e chi sgarra paga con la propria vita. Un contesto crudele, dove i giovanissimi, poco più che bambini, rischiano la vita solo per seguire il modello dei loro padri, dei loro nonni.

 

Criminale o Robinù?

È una condanna fatale che i protagonisti di Robinù devono scontare. Per loro non c’è altra soluzione tra la morte o il carcere a vita. C’è però chi si oppone, come il fratello di Michele, che scappa da Napoli per fare il pizzaiolo in Francia. Ma anche questa scelta non è priva di sofferenza.

Il documentario di Michele Santoro è una panoramica a 360 gradi di un mondo a parte, dove chiunque, nel bene o nel male, svolge il proprio ruolo. Come i genitori dei ragazzi, ora rinchiusi nelle comunità di recupero. Nelle loro testimonianze è percepibile una sofferenza senza pari, ma anche un certo orgoglio per i figli ritenuti dei veri Robin Hood (come suggerisce il titolo).

Michele è molto intelligente. Ha difeso tanti deboli, lui è stato nu Robinù”.

È la storia di Michele, che quando aveva solo 13 anni, durante una rapina, ha sparato a 4 carabinieri; a far riflettere sul recupero sociale di questi ragazzi.

In Robinù non mancano le note di colore, come quasi sempre succede quando si racconta di Napoli. Come le canzoni neo – melodiche (in questo caso, però, acquistano un sapore amaro) e i racconti di alcune trans. Ma nel documentario emerge un interrogativo che gli autori pongono allo spettatore: come è possibile recuperare questi ragazzi?

Prendi un leone feroci e lo chiudi in gabbia, quando lo liberi questo è più feroce di prima”.

Sono le parole di uno dei ragazzi protagonista di Robinù, che ha colto nel segno. La storia ci insegna che la reclusione non può essere l’unica soluzione, basti pensare alla vicenda di Raffale Cutolo, che in cella ha costruito la sua carriera di capo della Nuova Camorra.

Ed è ciò che pensa anche il Michele di Robinù con due fratelli che rischiano l’ergastolo e lui in detenzione da quando aveva quindici anni, sarà libero quando avrà più di quarant’anni, come potrà inserirsi nel tessuto sociale?

Robinù è un appello alla società, alle istituzioni per ricordare che chiunque ha il diritto a una seconda possibilità e che lo Stato, come viene indicato dalla nostra Costituzione, ha il dovere di rieducare e non solo punire.

Robinù – un film di Michele Santoro

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