Esordio ambizioso ed abbagliante, “Sagràscia” ci (ri)porta in una dimensione arcaica, onirica, musicale, dove il tempo si ferma per lasciare spazio alle possibilità del Cinema.
Antonio ha poco più di dieci anni e una passione per le biglie. Cercando di fuggire da una nonna pedante tra le pareti domestiche, scivola inavvertitamente per le scale rischiando la vita. Inconsapevole di essere stato miracolato, viene vestito da fraticello e inviato in pellegrinaggio verso la chiesa del Santo che gli ha salvato la vita, gli ha fatto “Sa Gràscia”. Tra musici, mucche, filastrocche, campi di melone e tiri in porta, il sogno e la realtà si mescolano in un girotondo di personaggi e suggestioni, sullo sfondo di una Sardegna magica e battuta dal sole, dove la dimensione del viaggio perde in folklore e acquista in intensità.
Opera prima del promettente Bonifacio Angius,Sagràscia stravolge i canoni della narrazione, guarda altrove, spostando il tempo e il luogo dell’immagine in un posto indefinito, non geografico ma immaginario. Il posto dell’anima del piccolo protagonista è fatto di dettagli, di personaggi che non appartengono a nessun luogo e non hanno una storia, ma sono visceralmente legati al qui ed ora, in una realtà sospesa, onirica, tra campi larghi e canti popolari.
Girato nel sassarese e realizzato in tre anni di lavorazione con un budget ridottissimo (meno di 20.000 euro), Sagràscia si avvale di un cast locale e competente che, sostenuto dalle suggestive note del compositore Carlo Doneddu, immerge lo spettatore in un road movie senza una logica prestabilita, volutamente non svelata e non ricercata, lasciandolo libero di vagare a piedi nella Sardegna incantata del piccolo Antoneddu. Esordio ambizioso ed abbagliante, Sagràscia ci (ri)porta in una dimensione arcaica, onirica, musicale, dove il tempo si ferma per lasciare spazio alle possibilità del Cinema.