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American Vandal: chi è il The Turd Burglar? Letteralmente il Ladro della Cacca. Una nuova indagine dell’irriverente serie Netflix.

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Anche nella seconda stagione di American Vandal un banale atto di vandalismo viene raccontato paradossalmente come un plot alla Twin Peaks, riproponendo il classico quesito “Chi è l’assassino?” elemento di indagine in un whodunit.

Nella prima stagione il “delitto” commesso (il disegno di simboli fallici su delle automobili) delineava un profilo  a cui Dylan Maxwell, il ragazzo accusato ed espulso dalla scuola per atti di vandalismo, sembra corrispondere perfettamente: è un abile disegnatore di simboli fallici, gira dei video idioti, irriverente, così da crearsi una pessima reputazione. La storia viene raccontata dal  punto di vista  di Peter Maldonado (Tyler Alvarez), studente e report della scuola che, assieme all’amico Sam Ecklund (Griffin Gluck), indaga minuziosamente sul caso  creando così un documentario di successo (l’American Vandal titolo della serie). 

Chi è il nuovo American Vandal? In questa seconda stagione il caso si presenta ancora più assurdo. I talentuosi Peter e Sam, raggiunta la fama grazie all’uscita del loro primo documentario su Netflix, sono chiamati ad investigare su un nuovo atto di vandalismo all’interno di una scuola privata dove la limonata della caffetteria è stata contaminata con un lassativo da un misterioso profilo anonimo digitale, chiamato The Turd Burglar (Il bandito della cacca). I  sospetti ricadono sia su un ragazzo alquanto strano Kevin McClain, emarginato e vittima di bullismo, una condizione che potrebbe averlo portato ad un gesto estremo, sia sull’atleta  DeMarcus Tillman, una sorta di Michael Jordan della scuola, che però per questo status sembra essere  intoccabile. 

Lo stile di racconto degli autori Dan Perrault e Tony Yacenda (ispirato ai veri crimini del documentario Netflix “Making a murderer) si rinnova sfruttando in chiave ironica  gli stilemi del poliziesco – flashback desaturati quasi al bianco e nero  –  confermandosi sagace e tagliente (complice del linguaggio parodico del mokumentary) non solo per la  capacità di ironizzare sulla smodata ossessione della serialità americana per la crime story, ma facendo emergere una problematica che ci riguarda tutti: il predominio della tecnologia sulle nostre vite, spostando quindi l’attenzione sulle immagini virali dei social network e sulla decifrazione del linguaggio delle chat.

Tematica trattata efficacemente da Netflix in molte delle sue narrazioni seriali, apparendo come minaccia spietata (Black Mirror) e  strumento di un bullismo 2.0 (Tredici), qui viene mostrata – nell’epilogo – sotto un aspetto più confortante: “è solo un mezzo per sopravvivere all’era”, l’unica nuova arca di salvezza di una generazione. 

di Silvia Scarpini 

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