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INDIPENDENTI ITALIANI

INDESIDERABILI

“Alla fine del 1938 il governo francese di Daladier emanò un decreto secondo il quale decine di donne considerate “sospette”, pericolose e “indesiderate”, poiché colpevoli di “ripetute infrazioni” alla legge, vennero confinate a Rieucros, un paesino tra i boschi del Sud della Francia.”

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Alla fine del 1938 il governo francese di Daladier emanò un decreto secondo il quale decine di donne considerate “sospette”, pericolose e “indesiderate”, poiché colpevoli di “ripetute infrazioni” alla legge, vennero confinate a Rieucros, un paesino tra i boschi del Sud della Francia.

 Quasi tutte straniere, divise in baracche a seconda del reato commesso o per nazionalità d’origine – tra loro c’erano prostitute, militanti politiche anti-fasciste (molte delle italiane facevano parte di quelle Brigate Internazionali che nel ’38 accorsero in Spagna per supportare l’esercito repubblicano contro le truppe franchiste), e altre colpevoli di furto, traffico di droga o di reati minori – le circa seicento prigioniere che furono costrette alla residenza forzata in questo campo, pur non subendo le atroci condizioni dei deportati dal nazi-fascismo tedesco (nessuna di loro morì né subì violenza), videro perdere d’improvviso la loro libertà e la capacità d’autodeterminare la propria esistenza.

 È stato partendo dalle testimonianze delle ultime sopravvissute di quella storia che Chiara Cremaschi ha tentato di ricostruire una vicenda fino ad oggi dimenticata e schiacciata dal peso di ben più atroci, celebri e celebrate tragedie.

Nella penuria di materiale d’archivio (in parte distrutto nell’incendio della biblioteca di Mende) la regista – al suo esordio in un lavoro di tal genere – ha fatto ricorso alle due italiane ancora in vita, Baldina Di Vittorio e Giulietta Fibbi, per ripercorrere attraverso la memoria quell’insolita situazione da recluse fuori dal tempo, al di là delle oggettive difficoltà – freddo e malattia e sporcizia – rivelatasi un’insospettabile occasione in cui l’inattività permise di occuparsi di tutto quello che nella vita “normale” e ordinaria non sarebbe stato più possibile fare.

 Ricorrendo al doppio binario del racconto e della creatività per superare la noia e la depressione d’una condizione di reclusione forzata, le donne organizzarono il loro tempo con insolito vitalismo, studiando, scattando fotografie e disegnando, scrivendo diari e raccontandosi le rispettive esistenze.

Ed è proprio servendosi delle creazioni di quelle indesiderate che il documentario supera la difficoltà del dover ri-presentare con linguaggio filmico quella storia, trovando un’espediente narrativo fatto di multimedialità e approcci laterali, mescolando presente e passato (in uno strano cortocircuito tra le interviste alle sopravvissute che parlano del passato e le voci fuori campo che, leggendo i diari dell’epoca – tra i quali è quello di Teresa Noce a far da linea guida – , parlano al presente), frammenti Luce con sopralluoghi in quel che resta oggi del sito di prigionia e con super8 semi-finzionali girati per l’occasione, e ancora istantanee cariche di potere evocativo in dialettico confronto con i già citati ritratti a matita.

 Come le donne di Rieucros, allo stesso modo il lavoro di Chiara Cremaschi sembra agire nei nostri confronti consegnandoci, attraverso la dimensione d’un racconto rielaborato artisticamente, la testimonianza di un faticoso momento di resistenza e di lotta per la libertà, tanto preziosa in questi tempi di amnesie strategiche o involontarie.

 Salvatore Insana

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