Moon è il secondo lungometraggio di Kurdwin Ayub, che ha già suscitato un grande interesse a livello internazionale. Il film ha ricevuto il Premio Speciale della Giuria al Festival di Locarno e partecipa attualmente in concorso al Riviera International Film Festival. Al centro della storia c’è Sarah (Florentina Holzinger) una ex lottatrice di MMA che, dopo aver abbandonato la sua carriera, si trova in una spirale di incertezza e frustrazione. La sua passione per la competizione è svanita, e il lavoro come allenatrice non sembra soddisfarla. Dopo un acceso confronto con sua sorella, Sarah accetta una proposta di lavoro come Personal Trainer ad Amman, in Giordania. Lì viene assunta dalla ricca famiglia Al Farahadi, per allenare le tre figlie adolescenti: Nour (Andria Tayeh), Shaima (Nagham Abu Baker) e Fatima (Celina Antwan), che vivono in una villa isolata, lontano dal mondo esterno.
Le ragazze, tuttavia, appaiono disinteressate e distanti. Senza telefoni, senza connessione a Internet e con una vita intrisa di regole rigide, si trovano prigioniere in una casa che dovrebbe essere un rifugio ma che in realtà sembra un carcere. Sarah inizia a indagare, ma le piccole crudeltà che inizialmente sembrano inspiegabili si rivelano essere il sintomo di qualcosa di ben più tragico.
Un Film che Stravolge il Genere
Moon si inserisce nel filone del dramma psicologico e del thriller, ma con un approccio che stravolge le convenzioni del genere. La tensione cresce lentamente, eppure la regia di Kurdwin Ayub evita i colpi di scena tipici, creando una sensazione di claustrofobia e stagnazione più inquietante della tensione verbale o fisica. La protagonista, Sarah, si trova immersa in un’incertezza totale, mentre il film sviluppa la sua storia in modo da non offrire alcuna via di fuga. La narrazione si concentra sull’incapacità di Sarah di connettersi con il mondo che la circonda, portandola a confrontarsi con una realtà che la travolge senza che lei possa reagire attivamente.
“Volevo avere un’artista marziale donna, una combattente che non è veramente una combattente se guardi più da vicino.” Con queste parole, la regista Kurdwin Ayub ci mostra che la protagonista non è la tipica eroina dei film d’azione, ma una donna che si trova di fronte a una lotta ben più complessa e interiorizzata, che non ha nulla a che vedere con la violenza fisica ma con una resa silenziosa al proprio destino.
La Forza della Resilienza Femminile
La forza di Moon risiede nell’analisi profonda delle emozioni non espresse. Come nella sua opera precedente, Sonne, Ayub mette in scena l’uso dei dispositivi elettronici come strumenti di liberazione. In questo caso, i telefoni e la connessione a Internet, seppur assenti nelle vite delle tre ragazze, giocano un ruolo centrale nell’emergere della verità. Ancora una volta, la regista si concentra sulle donne e sulla loro resilienza, affrontando una questione più ampia di frustrazione e impotenza.
Sarah, una donna che per tutta la vita è stata abituata a combattere, a non arrendersi mai, si trova di fronte a una realtà che la fa cedere. La sua forza fisica, che una volta era la sua risorsa più grande, non basta a farle fronte. Ayub mette in luce come la vera battaglia sia quella contro se stessi e contro una realtà che non dà risposte soddisfacenti.
Il Contrasto con le Sorelle Al Farahadi
Il vero dramma del film si svolge, tuttavia, nelle vite delle tre ragazze Al Farahadi. La loro lotta per la libertà, per la speranza di un mondo diverso, è tangibile, eppure sembra inutile. Ayub contrasta la figura di Sarah, che si è “ritirata” dalla lotta, con quella delle ragazze, che vivono in una prigione emotiva ed esistenziale. Le sorelle sono le vere combattenti del film: i loro tormenti interiori, i loro desideri di fuga e il loro senso di prigionia sono il cuore pulsante della storia.
La Potenza Visiva e la Scelta Registica
Klemens Hufnagl, direttore della fotografia, contribuisce enormemente al successo del film con una ripresa naturalistica che cattura le sfumature della solitudine e della frustrazione di Sarah. Non ci sono momenti di eroismo, né riscatto o finale in cui la protagonista trova una via d’uscita. In Moon, il fallimento non è un fallimento vero e proprio, ma una rassegnazione che deriva da una mancanza di intenzione, di speranza, di direzione. Sarah è una donna che cerca di trovare una nuova forma di realizzazione, ma in fondo è smarrita, come se la sua esistenza fosse priva di significato.
In Moon, la protagonista non si confronta con il classico arco eroico o con il lieto fine che si potrebbe aspettare da un film tradizionale. Non c’è spazio per il trionfo o per un’illusoria speranza finale. La stagnazione emotiva di Sarah, che attraversa tutto il film e raggiunge il suo culmine nel finale, diventa il cuore pulsante della narrazione. La potenza di Moon sta proprio in questo, nella sua capacità di evocare un senso di impotenza attraverso l’assenza di risposte facili.