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Approfondimento

‘L’ora del lupo’: Ingmar Bergman e il perturbante

Approcciarsi alle opere di Bergman è sempre un lavoro difficile da compiere. In questo approfondimento de 'L'ora del lupo' cerchiamo di analizzare il lavoro del regista svedese sul perturbante

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Ernst Ingmar Bergman è considerato uno dei maggiori registi della storia del cinema e con le sue opere, nel corso degli anni e di pari passo con la sua maturità, ha attraversato e analizzato le molteplici sfumature dell’animo umano. Con spiccata sensibilità ha investigato molti temi passando con maestria dalla religione e l’assenza di Dio all’incomunicabilità tra uomo e donna; dalla depressione alle dinamiche familiari. Grazie al suo eclettismo e alla capacità di sfruttare le tecniche del linguaggio cinematografico, Bergman ha attraversato molteplici generi, anche se risulta sempre molto difficile distinguerli all’interno delle sue opere che spesso contengono contaminazioni drammatiche e grottesche.

Le opere bergmaniane sono inoltre intrise della vita e del pensiero del loro autore come solo altre poche nella storia del cinema. Questo le rende estremamente personali e di difficile interpretazione. Inoltre molte sono connesse tra loro a più livelli di significazione. Attraverso l’analisi de L’ora del lupo, cerchiamo di vedere come il regista svedese tratta il tema del perturbante freudiano.

Bergman, Freud e il perturbante

“Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”, così definiva il perturbante Sigmund Freud che sviluppa il tema nell’omonimo saggio del 1919 compiendo un’analisi approfondita dei racconti di E.T.A. Hoffmann, scrittore tedesco che Freud considerava “il maestro indiscusso del perturbante in letteratura”. Nel saggio, Freud delinea una serie di tematiche come l’animazione dell’inanimato, il doppio, la ripetizione ossessiva, il ritorno dei morti, la sepoltura dei vivi, facendo diventare il perturbante una delle grandi categorie estetiche del ‘900.

Senza addentrarci in considerazioni mediche, basta questa considerazione per unire Bergman al perturbante. Molte delle opere di Bergman traggono ispirazione da quelle di Hoffmann, se non nella trama, nelle atmosfere. Impossibile dimenticare il prologo di Fanny e Alexander (1982), capolavoro del regista svedese, che si apre proprio in un’atmosfera tipicamente hoffmanniana: le marionette: la soglia da varcare, lo specchio, la statua che si anima. Bergman nuota nel mare del perturbante, e ogni opera ne emerge con una forza catartica che raramente è affidata al cinema. Per esplorare questo tema, ci concentriamo soprattutto su un film troppo spesso liquidato come minore, anche a causa della sua vicinanza al massimo capolavoro di Bergman, Persona (1966): L’ora del lupo (1967).

L’ora del lupo: le sfumature del perturbante

L’ora del Lupo è un film del 1967 che segue di solo un anno il grande capolavoro di Bergman, Persona. Il film nasce da una sceneggiatura mai girata da Bergman dal titolo Gli Antropofagi, a sua volta ispirata ad un’incisione di Axel Fridell per La piccola Dorrit di Dickens. In questa incisione un gruppo di antropofagi attende nel buio che la luce di una candela si spenga, per attaccare una bambina. Da questo cupo scenario nasce uno dei film più personali di Bergman, la cui trama è relativamente semplice. Johan Borg, artista di successo interpretato da un immenso Max Von Sydow, si ritira su un’isola apparentemente deserta in compagnia della moglie, Alma, una Liv Ullmann che lascia senza fiato, per guarire da un esaurimento nervoso. La scelta non si rivelerà azzeccata poiché i traumi di Johan lo seguiranno sull’isola distruggendone definitivamente la psiche.

Lo stesso Bergman in Immagini definisce così l’opera, mettendola in rapporto a Persona: “Persona era un film di rottura riuscito che mi diede il coraggio di proseguire su strade sconosciute. […] L’ora del lupo è importante perché è un tentativo di circoscrivere una problematica difficile e approfondirla”.

Le strade sconosciute sono quella mescolanza tra incubo e realtà, quel rimosso che ritorna nelle nostre vite e che trae forza dalle ferite della psiche. Ferite che nel protagonista si incarneranno nei demoni che poco a poco distruggeranno la psiche dell’artista. Proprio grazie alla permeabilità tra incubo e realtà il perturbante si sublima nei demoni che perseguitano Johan. Ognuno di essi è incarnazione di un trauma vissuto e di una riemersione di questi ultimi. In ordine, troviamo: un omosessuale definito il più innocuo; una vecchia col cappello; l’uomo sparviero, Lindhorst, che Johan reputa il peggiore di tutti; i carnivori e gli insetti tra i quali c’è l’uomo-ragno, presumibilmente il barone von Merkens; il professore con la verga, Heerbrand, e infine il gruppo delle donne di cui fanno parte Corinne, la madre del barone e Veronica, ex amante di Johan. Ognuno di essi richiama una delle “categorie” tematiche che Freud aveva dato del perturbante. In tutto ciò anche il lato tecnico è fondamentale: Bergman e Sven Nykvist, suo direttore della fotografia prediletto, creano un’atmosfera fantasmatica fatta di ombre nette e soffocanti che si alternano a bianchi accecanti, creando una vera e propria drammaturgia delle luci e componendo uno dei B/N più belli della storia del cinema.

I demoni, frammenti dell’anima

Passiamo brevemente in rassegna le funzioni principali dei demoni che appaiono nel film: Il barone, come il bambino omosessuale, è l’Ombra di Johan. È quel lato che Johan rifiuta e tenta di uccidere ma è anche insetto, l’uomo-ragno che cammina sulle pareti e che spia l’incontro con Veronica. La figura del ragno è simbolo di paura e di un predatore paziente. Johan invece non ha la pazienza che il barone esprime in modo sottile nel loro incontro al castello. Inoltre il barone-Ombra è portatore della gelosia ossessiva di Johan nei confronti di Veronica.

Per quanto riguarda le due donne della famiglia von Merkens, Corinne e la madre del barone, potremmo identificarle entrambe come portatrici di funzioni falliche e castranti. La vecchia che cerca di sedurre Johan e lo obbliga a succhiarle i piedi potrebbe essere un richiamo alla paura di Johan da bambino di essere morso ai piedi, una paura di perdere il fallo e che si proietta nel feticismo per i piedi incarnato dalla vecchia. Corinne ha il ruolo di specchio deforme del rapporto di Johan con le sua ex amante. La moglie del barone ha nei confronti di Veronica una fascinazione che la porta a confessare ad Alma e Johan di osservare continuamente il ritratto che l’uomo fece di lei, quasi alla ricerca di un’osmosi tra le sue qualità e quelle di Veronica che lei stessa adora. Adorazione che sfocia anche nel desiderio di possedere fisicamente Veronica: il ritratto è di fronte al letto della baronessa che afferma come sia diventato parte della sua vita solitaria. Da questa affermazione possiamo dedurre come, probabilmente, la donna compia atti di autoerotismo osservando il quadro, deduzione rafforzata dalla posizione che Corinne assume nella scena dell’incontro al castello tra Veronica e Johan: con le gambe leggermente divaricate e la mano destra sulle parti intime a simulare la masturbazione. Ovviamente questa interpretazione va traslata su Johan stesso dal momento in cui Corinne non è altro che proiezione della mente dell’uomo.

La nobildonna col cappello rappresenta il concetto di maschera-volto tanto caro a Bergman. Concetto che il maestro svedese esplora più volte nel corso della sua carriera. Ci basti pensare a film come Il volto (1958), Il rito (1969) o Il settimo sigillo (1957). Nel caso de L’ora del lupo questo tema esplora l’identificazione tra l’uomo e i suoi demoni. Johan osserva la donna strapparsi la faccia e inorridito si tocca il viso, quasi a voler essere certo di possedere ancora un volto come se fosse consapevole che il volto-maschera della donna sia in realtà il suo.

Concentriamoci adesso su uno dei personaggi più importanti dell’opera: l’uomo sparviero, Lindhorst. Come detto da Johan stesso Lindhorst è il demone più pericoloso: è astuto ed è affine a Papageno de Il flauto magico. Ma a ben vedere Lindhorst è molto più di questo. È la parte istintuale di Johan ma è al contempo un uomo raffinato e di estrema cultura. Spinge Johan a prepararsi al meglio all’incontro con Veronica, lo trucca e se ne prende cura. Potremmo definirlo come il lato più ambiguo della personalità di Johan, lo lusinga durante lo spettacolo chiamandolo artista, durante la cena coccola e conversa con Alma, ma in seguito lo umilia truccandolo quasi come un clown e identificandolo sia come uomo che come donna, privandolo di una definizione sessuale ben precisa. Oltre a essere demone Lindhorst è anche dio e diavolo: è diavolo nell’accezione luciferina del termine. Lindhorst può essere infatti considerato il capo dei demoni e del pandemonio della mente di Johan, inoltre nella selva si trasforma in un corvo che è considerata una delle forme fisiche predilette da Lucifero oltre che simbolo di intelligenza e di passaggio dalla vita alla morte. È dio in una perversa e distorta reinterpretazione del Dioniso de Le Baccanti di Euripide, testo che Bergman ha tentato spesso di mettere in scena negli anni, riuscendoci solo nel 1991, nel 1996 e adattandolo in un film per la televisione nel 1993. L’associazione si fa ancora più forte analizzando la scena in cui il demone-dio prepara Johan per l’appuntamento con Veronica. Nella tragedia di Euripide, Dioniso trucca Penteo per prepararlo all’incontro con le menadi che stanno svolgendo i riti misterici in onore del dio. Inizialmente Penteo è restio a truccarsi e vestirsi da donna per avvicinarsi alle baccanti ma si arrende all’influenza del dio, abbandonandosi totalmente alla sua guida. Johan viene sottoposto allo stesso trattamento e anch’esso si affida totalmente a Lindhorst, lasciandosi guidare verso il <<convegno d’amore>> che lo attende, convegno che potremmo mettere in relazione coi riti dionisiaci. Inoltre la stessa natura dei riti descritti da Euripide, è assimilabile all’esperienza che vive Johan. Le menadi della tragedia si abbandonano ad un furore estatico simile ad una trans infusa dal dio stesso e che impedisce loro di avere un qualsiasi tipo di controllo sulle loro azioni, questa condizione è simile a quella che vive Johan nel castello, i suoi demoni lo conducono in un incubo ad occhi aperti dove ogni comportamento ed ogni azione sono guidati da qualcosa che l’uomo non può controllare, un istinto che lo spinge, proprio come Penteo, all’incontro con una donna e alla morte.

Il demone Heerbrand è quello che  potremmo definire il meno sfaccettato, il suo significato è da ricercare nel rapporto di Johan col padre. È l’incarnazione del trauma delle punizioni corporali che il bambino Johan riceveva dal padre; mentre Ernst, il fratello del barone è il simbolo dell’insicurezza inconscia di Johan.

Il demone Veronica, è insieme a Lindhorst, il più complesso da analizzare poiché è portatore di più strati di significazione. Si riscontrano in Veronica le caratteristiche di una figura cara alla mitologia e alla letteratura gotica del XVIII° secolo: la donna vampiro. Questa figura è portatrice già dall’antichità dell’ambigua relazione tra seduzione, sangue (o fluidi corporei) e morte. L’aura erotica associata al vampiro è simbolo del peccato e l’atto carnale è comunemente espresso attraverso la metafora del morso.

La forte componente erotica incarna il piacere della bellezza ed il desiderio di possedere l’altro e quando tutto ciò è associato ad una donna si carica, inevitabilmente, di una forte tensione sessuale diventando simbolo del doppio, dell’eros e del perturbante. Sin dalla sua prima apparizione sull’isola viene mostrata come un essere soprannaturale, Bergman sembra quasi farla apparire dal nulla e la sua presenza non viene avvertita subito da Johan. La donna mostra come prima cosa un livido sul seno, probabilmente un morso, dovuto ad un rapporto sessuale con l’uomo e poco dopo si concede all’amante. Nell’emblematico incontro al castello Veronica mostra tutte le sue doti di donna vampiro: stesa sul tavolo appare morta e il B/N ne esalta il pallore cadaverico, il risveglio è accompagnato da una risata diabolica che mette in mostra il suo lato oscuro e i baci voluttuosi simili a dei morsi esaltano la sensualità e la carica erotica che la donna rappresenta. Il demone Veronica porta con sé una passione incontrollata e pericolosa, è l’incarnazione del Thanatos che spinge Johan in fondo ad un baratro di follia dal quale non uscirà più e che lo porterà alla morte. Ma è lo stesso Johan che permette la vittoria del Thanatos sull’Eros sano rappresentato da Alma. Fino all’inevitabile morte.