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VISTI AI FESTIVAL

Ludwig Van (Festival Fish-Eye)

“Unico lungometraggio di Mauricio Kagel, compositore argentino presto emigrato in Germania ed autore anche di numerosi cortometraggi sempre in bilico tra sperimentazione (soprattutto in campo sonoro) e uso più classico dello specifico filmico.”

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Unico lungometraggio di Mauricio Kagel, compositore argentino presto emigrato in Germania ed autore anche di numerosi cortometraggi sempre in bilico tra sperimentazione (soprattutto in campo sonoro) e uso più classico dello specifico filmico, Ludwig Van, girato nel 1969 in occasione del duecentesimo anniversario della nascita del celebre compositore tedesco, si può definire come una gita disorganizzata intorno alla museificazione di Beethoven, ovvero parodia a più strati del culto romantico del genio.

Kagel gira in 35mm, sceglie un bianco e nero curato e adotta uno sguardo che simula in soggettiva il vagabondaggio senza meta d’un protagonista di cui vediamo solo mani – guantate o meno – e piedi – addobbati con calzature ottocenteste – (Beethoven stesso?). Presto viene meno una qualsiasi concatenazione narrativa delle vicende, facendo del film un accostamento di frammenti visivi che indugiano, a mo’ di danza, tra le vie e le case di Bonn, tra umani e animali, tra passanti e esperti televisivi, immergendoci in novanta minuti di suoni beethoveniani, unico possibile collante di un’opera altrimenti volutamente come “fantasia” (nell’accezione musicale) senza equilibrio.

Ludwig Van si smarca dal rischio della sterile celebrazione, da quello del biopic e da quello del documentario sulle tracce risapute di un grande artista. Sceglie di procedere a salti, con ellissi e buchi temporali, passando – inciampando in ostacoli comici: gli spartiti che cadono, i busti che si sfaldano, le note che si moltiplicano come carta da parati.

Dagli interni polverosi della residenza-museo di Beethoven alla delirante intervista di un fanatico discendente dello stesso – intervistato, con mdp che irrispettosamente di avvicina e si allontana senza curarsi delle parole, in aperta campagna – ; dal talk show tra esperti musicisti e musicologi che finisce per vertere sulle chiacchiere private a proposito della sordità, sino allo zoo popolato da primati ed elefanti defecanti, Kagel gioca insistentemente sul contrappunto – il più delle volte ironico – tra immagine e suono, tra solennità e grottesco, ribadendo quanto il montaggio possa arrivare a ribaltare persino la percezione di chi probabilmente è il più celebrato e riverito tra i musicisti mai esistiti.

Salvatore Insana

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