Ne L’occhio di Vetro di Duccio Chiarini fascismo e antifascismo diventano una storia di contrapposizioni famigliari.
Uscirà il 4 giugno il documentario L’occhio di vetro di Duccio Chiarini, vincitore del Premio al Miglior Documentario al 61° Festival dei Popoli. Il film è prodotto da Asmara film, in associazione con Istituto Luce Cinecittà (che ne è anche distributore), con il supporto di Ministero della Cultura – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo (MiC), in collaborazione con La Règle du jeu.
L’Occhio di Vetro di Duccio Chiarini il documentario di Duccio Chiarini arriva al cinema il 4 giugno. Prodotto da Ginevra Elkann e Francesca Zanza di Asmara Films, racconta un pezzo importante di storia italiana dal punto di vista privato.
Ne abbiamo parlato con il suo regista, Duccio Chiarini, con cui ci siamo già piacevolmente confrontati a proposito dei suoi lavori: L’ospite e Marco Polo.
Il film L’Occhio di Vetro é stato presentato in anteprima mondiale al 61 Festival dei popoli!
Si può dire che ne L’Occhio di Vetro fascismo e antifascismo diventino una storia di contrapposizioni familiari che attraversa un pezzo importante di storia italiana. La particolarità è che tu le metti in scena come una grande saga familiare che ha il passo del romanzo letterario e la drammaturgia di un film di finzione.
Mi sono imbattuto per la prima volta nel diario di mio prozio, Ferruccio, e la prima intenzione è stata quella di farne un film, proprio perché la storia era già drammatizzata e strutturata. Al contempo la dimensione del documentario e della ricerca, dell’investigare, del mettere le mani in quelle scatole nascoste da qualche parte poteva comunque essere una maniera per entrare dentro di essa. Soprattutto sentivo che attraverso il documentario sarei stato capace a fare un ulteriore passo in avanti, riuscendo a creare un film sul tempo. Non so se ho raggiunto il risultato, però in alcuni momenti, guardandone le immagini e commuovendomi per i contenuti di quelle lettere, è come se sentissi delle onde gravitazionali e questa cosa mi fa capire che è stato giusto raccontare quella vicenda così come ho fatto. Da qui nasce anche l’idea del documentario rispetto a quella del film e si, è vero quello che dicevi a proposito della contrapposizione tra fascismo e antifascismo e cioè che questa si sposta su una dimensione privata e famigliare.
D’altronde, nei procedimenti di analisi storica tendiamo da un lato a manicheizzare le posizioni,dall’altro a cristallizzarle. Se invece entriamo nel privato degli stessi avvenimenti, ci accorgiamo che i comportamenti non sono statici: mia nonna Liliana a diciannovenne anni era con suo marito a Salò, a settanta passava il tempo a occuparsi diimmigrati e non inneggiava alla chiusura dei porti; così il senatore Giorgio Piovano, marito di sua sorella Maria Grazia, andava in missione per il PC nell’Unione Sovietica, ma negli anni Trenta anche lui erastato fascista. Dunque, penso che attraverso l’intimità del privato sia molto più facile comprendere la difficoltà di tutto.
A proposito del tempo, L’occhio di vetro inizia e finisce nello stesso luogo, la casa di tua nonna: all’inizio la vediamo attraverso i film in super otto realizzati negli anni Sessanta, Settanta, mentre alla fine la visione ci riporta ai nostri giorni, con te disteso sul prato antistante alla villa. Mi sembra che questo sia indicativo di quello che dicevi e anche di come il cinema, e in questo caso il tuo film, riescano ad arrivare alla verità delle cose attraverso la forma, cogliendo il passaggio del tempo nello scarto esistente tra un’immagine e l’altra.
In questo film il tempo e il suo divenire sono stati sempre al centro della mia ricerca. In una sua poesia Thomas Stearns Eliot mi aveva illuminato con una frase che a un certo punto recitava: “ Nel mio principio è la mia fine, uno dopo l’altra case sorgono, cadono, vengono ampliate, vengono demolite distrutte restaurate o al loro posto c’è un campo aperto o uno stabilimento o una via di circonvallazione. Vecchiapietra per costruzione nuove, vecchio legname per nuovi fuochi, vecchi fuochi per cenere e cenere, per terra che è carne e pelo, escrementi, ossa di uomo e di bestia stelo di grano e foglia.”
Ho tratto grande ispirazione da questi versi, perché in qualche modo sentivo che solo attraverso questo viaggio sarei stato in grado di fare a meno della fisicità dei luoghi in cui vivevo. Dentro di me c’era la necessità di attraversare all’indietro questo tempo e, pur nella semplificazioni che spesso si fanno a proposito del ventennio e del triennio che va dal ‘43 al 45’- cosa dalla quale anche il mio lavoro non è esente -, spero che a chi lo guarda giungano le vibrazioni provenienti da un altro tempo e da un altro luogo. Non a caso in questo film avrei voluto inserire scene relative a un posto magico alle porte di Pisa, dove mia nonna mi portava da bambino a fare il giro in bicicletta e in cui adesso si stendono i laser nascosti di un centro di fisica nucleare, denominato Virgo. Questi fasci di luce riescono ad intercettare le onde gravitazionali che furono teorizzate da Einstein con la teoria della relatività generale. Parliamo di energie che ci arriva da centinaia di milioni di anni, di cui oggi riusciamo a leggere il percorso attraverso il tempo.
Non voglio portare all’estremità questo ragionamento dicendo che, sapendo leggere il ‘39 o il ‘45, riusciamo a decifrare il presente perché non penso sia questo il punto. Credo però che ci si possa mettere in una prospettiva per cui la storia non è soltanto qualcosa di finito, ma un divenire che continua a parlarti e a emozionarti in una maniera molto profonda. Quando ero dentro l’archivio della scuola normale Di Pisa, ho trovato i temi di mio zio. Io sono una persona che si commuove facilmente ma nel fare questo film mi è successo più del solito.
Guardando il film mi sono commosso più volte anche io perché in qualche modo la storia della tua famiglia assomiglia alla mia. L’Occhio di vetro, tra le altre cose,è un film su una generazione oramai scomparsa e che però ci lascia ineredità un’esistenza vissutapienamente. Mi fa tenerezza guardare la tua famiglia e quei giovani allo stesso modo di quando osservoi miei genitori e mio nonno nelle foto che li ritraggono nella loro giovinezza.
Ho avuto la fortuna di crescere a fianco dei miei nonni e di viverli relativamente a lungo, a parte uno di loro che se ne andò quando avevo diciott’anni. Già questa vicinanza delle generazioni, che ora si sta invece sempre più perdendo, potrebbe essere un tema, ma io sono stato al loro fianco e ovviamente in questo film, in questo cammino nel quale i miei genitori mi hanno accompagnato, ho pensato più volte al fatto che tu vivi con persone accanto senza avere gli strumenti per riuscire a parlarci. Uno dei miei nonni mi raccontava sempre delle sue esperienze nelle colonie in Eritrea, ma allora era un’aneddotica che non mi interessava. Al contrario, quando ho potuto avere un pochino più di spirito critico, ho provato a richiedere e ho capito che andavo a dissotterrare dei fantasmi, a creare delle ferite. Ho sentito in lui e negli altri una sorta di pudore e di rispetto dinanzi ai quali mi sono dovuto fermare.
Alla fine del film, quando racconto le loro vite dopo la guerra, misono convinto che quelle esperienze, per quanto uno voglia rimuoverle, continueranno sempre ad agitarsi dentro. In qualche modo quei momenti di tragica gloria, quel sentirsi al centro della storia per quanto poine fossero stati travolti – piccole onde di una marea incontrollabile – restano talmente potenti da farti vedere in maniera completamente diversa tutto il silenzio attorno al quale hanno costruito la loro nuova esistenza. Nel ripensarci, tutto questo mi provoca un profonda malinconia.
Un altro tema del film è quello della rimozione. Ne L’occhio di vetro lo si affronta da due punti di vista: come ricordo che induce aldolore e, al contrario, in funzione catartica e liberatoria. L’immagine di te disteso in giardino con le braccia dietro la testa la dice lunga sul tuo stato d’animo e sui benefici del viaggio da te compiuto.
Certo, penso sia anche uno dei principi della psicoanalisi, quello di dissotterrare dei rimossi che disturbano. In qualche modo questo film lo ha fatto su di me e forse in misura maggiore su mia madre. La decisione di mia nonna di tirare una linea rispetto al passato è figlia di una cultura diversa e di un tempo diverso, però ha comunque creato moltipiù danni di quanti forse non ne avrebbe fatto un confronto: ha creato delle stanze chiuse a chiave che ti spingono con forza a voler guardarvi dentro
Lo sottolineavo perché in realtà il tuo film fa una cosa che in Italiaè difficile da mettere in pratica. Non solo sul tema da te trattato, ma anche nei confronti di un’altra guerra civile come è statoil terrorismo degli anni di piombo. In realtà si tratta di un processo che noi come popolo e cultura facciamo fatica a perseguire.
Ogni anno in occasione del 25 aprile vengono fatti più o meno gli stessi discorsi e si riparte sempre da capo. Ci sono ogni tanto pubblicazioni e dibattiti che però appartengono a una cerchia ristretta di persone anche perché i protagonisti più diretti se ne sono andati. Sicuramente colpisce che il mito dei miti su cui era stata fondata l’Italia di Mussolini sia stato così in fretta sostituito da altre narrazioni. Prima fra tutteil fatto che siamo stati tutti partigiani. Non è così e non rende merito ai duecentosessantamila o trecentomila resistenti che ebbero la forza di opporsi e di rendere dura la vita all’avversario principalmente nel nord Italia dove senza alcun aiuto si scontrarono contro le forze della repubblica sociale. Se fino al giorno prima avevamo avuto il mito della forza invincibile dell’esercito italiano all’improvviso questo sì rivelò una potenza di burro. Di colpo tutti quei miti furono rimpiazzati da un processo storico profondo e doloroso.La velocità con cui si era passati da essere alleati dei tedeschi a esserlo degli americani è la stessa con cui siamo diventati tutti resistenti e costituenti. Ma non fu così permille motivi.
In quel contesto è chiaro che la parola ai vinti è stata restituita soltanto decine di anni dopo e il fatto che dovesse essere restituita non era per dire “avevamo ragione noi, non riconosciamo la vittoria dell’avversario o cose del genere “ ma per capire veramente le ragioni di ciò che era stato. C’è un passaggio che non ho inserito nel film in cui mio nonno si commuove quando Claudio Pavone,autore del libro chiave Una guerra civile, lo contattò per chiedergli di raccontare la guerra con gli occhi di chi l’aveva vissuta partecipando alla Repubblica Sociale. Era la prima volta che qualcuno dava la parola all’altra parte e forse è proprio questa mancanza di interesse e di comprensione ad aver causato lascelta da parte loro di non parlare più di quella drammatica esperienza. Visto che nessuno gli chiedeva che cosa fosse successo alcuni, molti di loro, si sono chiusi in un silenzio dignitoso e tombale. Altri ahimè hanno invece preferito continuare a gridare per anni slogan anacronistici.
Il tuo film dimostra quanto sia importante approfondire i fatti, entrare nel farsi degli avvenimenti per arrivare a capire quello che è veramente successo. L’occhio di vetrolo fa in maniera paradigmatica: la (tua) scoperta di avere nonni che avevano militato nel partito fascista è solo una parte della questione che invece è molto più variegata di quello che appare. A un certo punto vediamo che tua nonna e sua sorella si dividono per seguire i rispettivi coniugi: questo non impedirà a Giorgio, nel frattempo diventato un importante politico del partito d’azione, di salvare la sorella della moglie e suo marito dalle rappresaglie dei vincitori. Rispetto al concetto di fascismo il film mostra sfaccettature che si disfano sei soliti stereotipi.
Al liceo ho avuto la fortuna di incontrare un professore che mi ha cambiato la vita, come l’ha cambiata ai tanti che hanno avuto l’occasione di averlo come insegnante. E’ lui che mi ha fatto studiare i fatti attraverso la storiografia, spingendomi a nonconsiderare solo le date ma anche le interpretazioni. Mi ricordo sempre delle letture sulla vita, sulle analisi sociologiche, sui contesti, quelle che ci hanno permesso di vedere sempre di più la storia attraverso l’esperienza della gente. In questa maniera tutto diventa molto più complesso rispetto a quello che era stato lo studio delle masse, dei numeri e delle grandi onde. A differenza di mio padre, che nel film è più categorico verso le scelta dei miei nonni di restare fascisti anche dopo l’8 settembre, la mia formazione sull’argomento mi porta in questo viaggio ad avere una pietas verso i vinti. Sempre facendo riferimento ai miei studi ho potuto capire che quando quando il mio bisnonno parte per il fronte nel ’17, non lo fa perchè nazionalista o già di destra ma perchè scaldato dagli ideali patriotticidi matrice risorgimentale.
Una cosa che mi fa molto commuovere sono le immagini del film in cui i partigiani sfilano per Milano, accompagnate dalla canzone del Piave. Si tratta di un filmato d’epoca e quella musica vi era stata montata proprio allora per restituire alla sinistra l’idea patriottica di nazione che era stata usurpata e fatta propria dalla propaganda fascista. Vedere sfilare quei reduci e mutilati mi fa ricordare quelli della prima guerra mondiale, gettando uno sguardo molto alto sulle vicende umane e sulla complessità attraversate dagli uomini durante le guerre. Volevo che il film avesse in qualche modo questo punto di osservazione sulla vita.
Dicevamo di come il tuo, più che un documentario, abbia alcune caratteristiche proprie dei film di finzione, a cominciare da persone che vi figurano come veri e propri personaggi. In particolare lo è tua nonna Liliana, protagonista per via dei fatti che la coinvolgono, ma anche per inserire nel film un portamento di una bellezza da diva del cinema.
Le tue parole la renderebbero felice. Liliananon mi ha mai parlato di mio nonno e quest’ultimo non mi ha mai raccontato di lei. So per certo che lui andava nella terrazza di un suo amico per vederla passare. Questo è uno dei motivi per cui lei rimase nascosta così a lungo in quella casa di Rovere durante le ultime fase della guerra. Di lei e della sua bellezza si sarebbero ricordati tutti. Nel film si riportano alcuni dati su di leiche mettono i brividi. All’età di diciotto anni è in ansia per l’esame di maturità, tre giorni prima si sposae dopo cinque giorni parte per andare sul fronte di guerra. Forse la sua educazione molto rigida e spartana l’ha portata a vivere i suoi dolori in silenzio. Il che è tanto più stridente se si considera il calore e l’umanità della sua persona. Ognuna dellefigure presenti nella storiaha una sua polarità. Spero che il film sia riuscito a metterle in evidenza come meritavano.
L’occhio di vetro è un film che permette anche ai più giovani di essere visto e di appassionarsi alla Storia d’Italia oltreché ai personaggi, senzaper questo essere didascalico ed avere i difetti dell’operazione divulgativa. Un risultato ottenuto attraverso una sintesi efficacissima in cui il documentario della Storia vera e propria introdotta dai filmati dell’Istituto Luce si fondeal tono intimo e privato della vostra esperienzapersonale. Vorrei sapere come hai lavorato perché il risultato genera empatia e suscita interesse.
Mi emoziona sentire le tue parole, perché sei tra le prime persone con cui parlo e c’è sempre incertezza quando condividi qualcosa di tuo. In questo caso ancora di più, per il fatto che la narrazione è legata in maniera così profonda e anche inquietantealle tematiche di cui abbiamo parlato. Devo confessare che non è stato un film molto scritto. Sapevo che avrei dovuto inanellare, raccontare e sintetizzare questo diario che era molto molto lungo e si perdeva spesso negli eventi cruciali. In qualche modo sapevo che c’erano degli appuntamenti e dei viaggi, delle peregrinazioni che avrei dovuto compiere. Inizialmente avevo allargato il cerchio inserendo degli incontri che uscivano dal nucleo familiare. Ho parlato con un professore della Normale che mi ha illuminato su tanti aspetti, ho letto dei libri sul fatto che in tale università fossero stati tutti antifascisti.
Non è così. Il fascismo aveva permeato l’intera nazione e si contavano sulle dita di una mano i professori che non avevano aderito al partito fascista, quelle che non avevano siglato il famoso documento. In realtà a un certo punto, guardando le riprese e parlando con la montatrice Enrica Gatto, abbiamo sentito che tutte le volte che ci si allontanava dalla dialettica privato-pubblico la forza del film sidisperdeva. Da cui la scelta di andare più in fondo sul materiale selezionato in precedenza e dunque di condividere l’inquietudine di alcune scene, come il ricordo del funerale di mio zio e di mio nonno con i saluti romani, così come il pianto di mia madre. Nel raccontare questa intimità, esisteva in me la consapevolezza che questo film appartiene a me comea tantissime persone in Italia che hanno avuto la stessa difficoltà ad accettare le proprie radici. Per questo ho cercato sempre di guardare al tutto attraverso gli occhi dei protagonisti: l’otto settembre è vissuto da Giovanni che deve decidere da che parte stare, mentre l’arrivo degli americani a Roma è raccontato da Giuseppe a sua volta chiamato a decidere a chi dare in sposa le figlie. Il proclama del generale Alexander che abbandona i partigiani e le terre del nord in mano a nazisti e fascisti è visto attraverso gli occhi di Giorgio.
Da questo punto di vista e approfittando della clausura portata dalla pandemia, sono stato molto felice di avere recuperatouna lettura imprescindibile come Guerra e Pace. Con la più grande umiltà dico che è stata questa lettura a ispirarmi nell’impostare il rapporto dei miei personaggi con i fatti della storia e a immaginarli come piccole gocce nel mare nel mare di testimoni di questi macroeventi. Mi commuove tantissimo lo scritto di mia nonna in cui racconta la prima volta che ha visto il Duce. Tuttora mi fa rabbrividire, perché mi fa pensare al principe Andrej morente che vede Napoleone a cavallo sopra di lui. Tutto questo all’insegna di quegli incontritra il micro e il macro che poi sono l’essenza e l’anima di questo film
Nel film ricordi di come giovanissimo fosti colpito dalla parola fascismo a te allora sconosciuta. Ti chiedo se dopo aver fatto il film sapresti rispondere al significato che ha avuto ieri e che ha oggi?
E’ una domanda molto difficile. Io sono riuscito a capire come quest’onda travolse la nazione e anche lo spirito nel quale nasceva. Nei tanti discorsi del Duce che puntellano la vita dei Razzini c’è un momento in cuilui dice “camicie nere della rivoluzione”. Ecco, quel movimento era stato percepito da tutti come una rivoluzione e non come una restaurazione. Questo è già abbastanza dirimente per capire come sia stato possibile che quella forza vitale e anche violenta, all’inizio abbia attratto così tanti consensi per poi permeare con la forza e l’obbligo l’intero paese. Un percorso questo appartenente alla complessità del novecento e a un quadro in cui le masse popolari, dopo la fine degli imperi,erano diventate protagoniste.
Solo oggi c’è la distanza per riuscire a comprendere. Quello che èil fascismo di oggi, per me sarebbe più facile chiamarlo in un altro modo. Mi sembra molto più sfaccettato e articolato e anche postmoderno. Penso a determinati fenomeni del populismo americano, del negazionismo, del sovranismo. E’ come se ci fosse qualcosa ancora in ebollizione, che mi sembra – anche se a fatica – gli argini della società liberal-democratico stiano in qualche modo contenendo. Almeno così è stato finora.
Volevo concludere dedicando qualche parola a chi ha prodotto il film. Tra loro c’è anche Istituto Luce e soprattutto Ginevra Elkann, che aveva avuto un’esperienza davvero interessantecome distributrice di opere di forte impatto. Dopo l’esordio da regista L’occhio di vetro segna il tortino al primo amore.
Ginevra è innanzitutto una cara amica e una compagna di studi. Abbiamo fatto la London Film School insieme ed è stata anchela produttrice del mio primo lungometraggio Short Skin. La collaborazione con Asmara film è continuata, tanto che adesso sto sviluppando il mio terzo lungometraggio di finzione con loro. Sia Ginevra che Francesca Zanza, quando parlai loro di questa storia che stavo cercando di mettere in piedi in maniera autonoma, rimasero molto colpite, anche perché Ginevra ha uno sguardo molto sensibile su quelle che sono le storie familiari. Entrambemi hanno da subito appoggiato con entusiasmo in questo progetto.
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